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Archivio per categoria: Societario

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Indici di allerta nella crisi di impresa

31 Ottobre 2019/in Crisi e risanamento di impresa, Fallimentare, Operazioni straordinarie, Societario, Valutazione di azienda/da Fisco e societa

Indici di allerta nella crisi di impresa

Al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili l’art. 13. Co. 2 del codice della crisi e dell’insolvenza d’impresa ha assegnato il compito di elaborare gli indici necessari al completamento del sistema dell’allerta, introdotto nell’ordinamento con la legge delega n. 155/2017.

Il CNDCEC, pur eseguendo integralmente il mandato legislativo di elaborazione degli indici di cui al secondo comma dell’art. 14 ha definito, un argomentato iter logico che, dall’esame dell’andamento aziendale, conduce alla rilevazione dei fondati indizi di crisi. Questi, come da espressa previsione dell’art. 2 lett. a), attengono alla manifestazione dell’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate, indizi dai quali scaturiscono gli obblighi segnaletici di cui all’art. 14.

Struttura “ad albero” e combinata

A tal fine è stata adottata una struttura, ad un tempo, “ad albero” e combinata.

La presenza di uno stato rilevante di crisi, nei termini di cui all’art. 13 co. 1, è diagnosticata attraverso:

  1. la preliminare rilevazione della presenza di ritardi reiterati e significativi nei pagamenti (per la quale il documento fornisce puntuali indicazioni)
  2. la verifica della presenza di un patrimonio netto negativo o inferiore al minimo di legge,
  3. l’evidenza della non sostenibilità del debito nei sei mesi successivi attraverso i flussi finanziari liberi al servizio dello stesso.

Ottica forward looking

Ed è per questo che il documento prevede l’impiego del DSCR (Debt Service Coverage Ratio), individuando i relativi approcci di misurazione. Si tratta di un indice che interiorizza l’ottica forward looking che impone l’art. 14 quando richiede la valutazione del prevedibile andamento aziendale.

Impiego combinato di 5 indici

Solo qualora il DSCR non sia disponibile, o i dati prognostici occorrenti per la sua determinazione siano ritenuti non sufficientemente affidabili (anche dagli organi di controllo), si ricorre, sempreché la situazione di crisi non sia già stata intercettata dal patrimonio netto negativo o dalla presenza di reiterati e significativi ritardi, all’impiego combinato di una serie di cinque indici, con soglie diverse a seconda del settore di attività, che debbono allertarsi tutti congiuntamente.

Si tratta dell’ultimo nodo dell’albero di rilevazione, costituito dai seguenti indici:

  1. a) indice di sostenibilità degli oneri finanziari in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato;
  2. b) indice di adeguatezza patrimoniale in termini di rapporto tra patrimonio netto e debiti totali;
  3. c) indice di ritorno liquido dell’attivo in termini di rapporto da cash flow e attivo;
  4. d) indice di liquidità in termini di rapporto tra attività a breve termine e passivo a breve termine;
  5. e) indice di indebitamento previdenziale e tributario in termini di rapporto tra l’indebitamento previdenziale e tributario e l’attivo.

Capacità predittiva degli indici

La massimizzazione della capacità predittiva degli indici è stata ottenuta tramite un processo di selezione tra decine di migliaia di combinazione di indici, mediante test che hanno interessato tutte le società con bilancio ordinario pubblicato, avendo riguardo ad eventi di default nei tre anni successivi.

Con l’aiuto fondamentale dei partner tecnici Cerved e Innolva, che hanno messo a disposizione personale e dati al fine di elaborarli in tempo reale, abbiamo potuto spaziare nella analisi di molti indici e di altrettante informazioni sul passato. In questo modo si è costruito un vero e proprio iter diagnostico dello stato di salute finanziaria dell’impresa, argomentato e controllabile, ed “eventualmente sindacabile” solo nel momento in cui un soggetto avesse ancora più dati e informazioni di quelle da noi utilizzate.

Questo, nel complesso, l’approccio adottato che permette di intercettare progredendo attraverso fasi successive di diagnosi tutte le situazioni ritenute rilevanti dal co. 1 dell’art. 13. Esso nondimeno tiene conto dei due indici significativi individuati dalla stessa norma.

Il rischio dei falsi positivi

I falsi positivi (e cioè il rischio di segnalare realtà che non presentano il rischio di default nei tre anni successivi) sono limitati a un livello di segnalazioni ragionevoli e comunque sono circoscritti ai soli cinque indici ad impiego congiunto, che peraltro assumono un ruolo subordinato rispetto agli altri indicatori (reiterati e significativi ritardi nei pagamenti, patrimonio netto negativo, DSCR inferiore ad 1) necessitando di essere corroborati da ulteriori elementi per assumere comunque la natura di ‘fondati indizi’.

Startup e altri casi particolari

Il documento, infine, prevede specifici indici per le start-up innovative, le imprese in liquidazione e le imprese neocostituite ma soprattutto tiene conto di alcune specificità già oggi considerate nel documento come il mondo delle cooperative e dei consorzi, quello della edilizia con considerazioni anche per le situazioni in cui via siano crediti nei confronti della P.A.

Per approfondire

Scarica: GLI INDICI DELL’ALLERTA E L’APPENDICE METODOLOGICA

Gli strumenti finanziari partecipativi

1 Luglio 2019/in Restartup, Societario, Startup, Startup/da Fisco e societa

Gli strumenti finanziari partecipativi

La massima n. 164 del Consiglio Notarile di Milano sintetizza i diversi profili causali che possono essere sottesi all’emissione degli strumenti finanziari partecipativi ai sensi dell’art. 2346, comma 6, c.c. (s.f.p.).
Nel caso di presenza dell’obbligo di rimborso, l’operazione ha causa sostanzialmente riconducibile al finanziamento, secondo uno schema che non si differenzia – da questo punto di vista – dall’emissione obbligazionaria.
Nel caso di esclusione dell’obbligo di rimborso, la causa dell’operazione è dalla dottrina avvicinata, secondo indicazioni non univoche, a quella del contratto di società, ovvero di associazione in partecipazione, ovvero ancora di cointeressenza.

Obbligo di rimborso ed iscrizione a bilancio

Gli strumenti finanziari partecipativi emessi ai sensi dell’art. 2346, comma 6, c.c., possono prevedere o meno, a carico della società, l’obbligo di rimborso dell’apporto o del suo valore. Nel primo caso, l’obbligo di restituzione comporta l’iscrizione di una voce di debito nel passivo dello stato patrimoniale; nel secondo caso, invece, l’apporto comporta l’iscrizione di una riserva nel patrimonio netto della società nella misura in cui esso sia iscrivibile nell’attivo dello stato patrimoniale o nella misura della riduzione del passivo reale.

Diritti patrimoniali degli SFP

Agli strumenti finanziari partecipativi con o senza diritto al rimborso del valore dell’apporto possono essere attribuiti uno o più dei diritti patrimoniali spettanti alle azioni (diritto all’utile, diritto alla distribuzione delle riserve, diritto al riparto del residuo attivo di liquidazione) e/o altri diritti patrimoniali di diversa natura (ad esempio: interessi fissi o variabili, etc.). Salva diversa disposizione contenuta nello statuto o nel regolamento degli strumenti finanziari partecipativi allegato allo statuto, i diritti patrimoniali spettanti agli strumenti finanziari privi di diritto al rimborso del valore dell’apporto non dipendono dall’esistenza e dalla permanenza in essere della riserva costituitasi a fronte dell’apporto.

Diritti amministrativi degli SFP

Qualora gli strumenti finanziari partecipativi siano privi di diritti patrimoniali di natura partecipativa (diritto all’utile, diritto alla distribuzione delle riserve, diritto al riparto del residuo attivo di liquidazione), la loro qualificazione in termini di strumenti finanziari partecipativi ai sensi dell’art. 2346, comma 6, c.c., è subordinata alla attribuzione di uno o più diritti amministrativi di natura partecipativa (come ad esempio il diritto di nominare un componente degli organi di amministrazione e/o di controllo, ai sensi dell’art. 2351, comma 5, c.c.).

Per approfondire

Scarica la massima n. 164 del Consiglio Notarile di Milano

Linee guida per la nomina di esperti in valutazione da parte del Tribunale

10 Aprile 2019/in Perizie di Stima, Societario/da Perizie di Stima

Linee guida per la nomina di esperti in valutazione da parte del Tribunale

Le linee guida raccolgono gli orientamenti della Sezione su questioni ricorrenti e sono state predisposte a seguito di riunioni dei magistrati della Sezione con il Conservatore del registro delle imprese di Milano e con rappresentanti designati dal Consiglio notarile di Milano, dall’Ordine degli avvocati di Milano e dall’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Milano.

Linee guida per i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia societaria Condividi il Tweet Linee guida per la nomina di esperti in valutazione da parte del Tribunale nei procedimenti di volontaria giurisdizione in materia societaria Condividi il Tweet

Nomina di esperti per la redazione di relazioni concernenti operazioni sociali

La nomina da parte del tribunale di esperti per la redazione di relazioni aventi ad oggetto i presupposti di talune operazioni sociali (artt. 2343 primo comma, 2343bis secondo comma, 2500ter secondo comma, 2501sexies terzo e quarto comma, 2501bis quarto comma, 2506ter terzo comma, 2545undecies secondo comma, cc) trova la sua ratio nella necessità di individuare soggetti dotati dei requisiti di professionalità e indipendenza, requisiti presupposti dalla natura dell’incarico, di oggettiva verifica tecnica nell’interesse dei soci e dei terzi 5 il ricorso dovrà quindi essere strutturato in modo da fornire al tribunale tutti gli elementi necessari per tale individuazione e dunque contenere:

  • una descrizione sufficientemente dettagliata della operazione che richiede la redazione della relazione da parte dell’esperto ovvero il richiamo alle specifiche delibere relative a tale operazione;
  • l’indicazione dei professionisti e/o delle società di revisione che ricoprono l’incarico di sindaco e di revisore nonché di quelli operanti quali consulenti o fornitori di servizi alla società e/o alle società correlate, onde evitare che la scelta del tribunale cada su costoro, di per sé da considerare privi del requisito di indipendenza come si è già visto sub B, i relativi procedimenti sono da considerare coinvolgenti una sola parte e quindi non richiedono la instaurazione di alcun contraddittorio nel decreto la nomina dell’esperto viene sottoposta alla condizione di efficacia rappresentata dal rilascio da parte dell’esperto nominato di dichiarazione di indipendenza

Il decreto di nomina deve essere comunicato dalla parte ricorrente all’esperto nominato, al quale non sarà quindi inviata alcuna comunicazione dalla cancelleria a seguito del decreto di nomina tra la società ricorrente e l’esperto si instaura un rapporto negoziale,
al cui ambito va ricondotta la determinazione della misura del compenso dell’esperto: in caso di mancato accordo tra le parti la relativa controversia sarà oggetto di procedimento contenzioso.

Nomina di esperti ex art. 2501 sexies c. c.

Per la redazione della relazione di cui al secondo comma dell’art.2501sexies cc il terzo comma della stessa norma prevede che:

“L’esperto o gli esperti sono scelti tra i soggetti di cui al primo comma dell’art.2409bis e, se la società incorporante o la società risultante dalla fusione è una società per azioni o in accomandita per azioni, sono designati dal tribunale del luogo in cui ha sede la società. Se la società è quotata in mercati regolamentati, l’esperto è scelto tra le società di revisione sottoposte alla vigilanza della CONSOB.”

La designazione dell’esperto da parte del tribunale è quindi necessaria solo nel caso di spa o di sapa ed è vincolata, quanto ai requisiti di professionalità dell’esperto, alle indicazioni normative. In via generale la scelta deve cadere su di un revisore legale dei conti o su di una società di revisione legale dei conti di cui all’ art.2409 bis c. c.

Nomina di esperti per la valutazione della partecipazione del socio receduto od escluso

La nomina di esperto per la determinazione del valore della partecipazione del socio receduto ed escluso ai sensi degli artt. 2437ter ultimo comma, 2473 terzo comma, 2473bis cc è provvedimento destinato ad incidere sugli interessi di due parti:

  • il socio receduto od escluso, richiedente la nomina a fronte di una determinazione del valore da parte della società ritenuto non congruo,
  • la società tenuta alla liquidazione della partecipazione,

e come tale richiede l’instaurazione del contraddittorio. Secondo gli orientamenti del Tribunale di Milano il procedimento è esperibile anche nel caso nel quale la società abbia omesso ogni determinazione nel termine di legge e laddove la società, nel caso di recesso, abbia svolto eccezione circa la insussistenza dei presupposti per l’esercizio del recesso ritenuta dal tribunale infondata nell’ambito di una valutazione incidenter tantum.

Per approfondire

Scarica: Linee guida per i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia societaria

SRL: nuovi obblighi tra gestione ed organizzazione

27 Marzo 2019/in Fallimentare, Societario/da Fisco e societa

SRL: nuovi obblighi tra gestione ed organizzazione

SRL: nuovi obblighi tra gestione ed organizzazione analizzati da uno studio del Notariato sulle modifiche apportate all’art. 2475 c.c..

Uno studio del notariato sul nuovo articolo 2475 c.c. evidenzia problemi di coerenza sistemica tra il Codice Civile e le modifiche apportate all’ art. 2475 c.c. dal nuovo Codice della Crisi nei rapporti tra amministratori e soci nella gestione della società.

Lo studio del Notariato n. 58-2018/I esamina le conseguenze, sul piano delle clausole statutarie, della modifica dell’art. 2475 c.c., con riferimento in particolare alla nuova previsione per cui:

La gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.

Problemi di coerenza sistematica tra Codice Civile e modifiche derivanti dal nuovo Codice della Crisi.

Tale disposizione pone un problema di coerenza sistematica nei confronti di altre norme, quali:

  • il primo comma dell’art. 2479 c.c., il quale viene interpretato nel senso che è consentito affidare ai soci competenze gestorie;
  • l’art. 2468, comma 3, c.c., che prevede la possibilità di riservare a singoli soci particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società;
  • il comma 7 dell’art. 2476, c.c., per il quale sono solidalmente responsabili con gli amministratori i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

Distinzione tra organizzazione e gestione

Nello studio si ipotizza che la nuova disposizione dell’art. 2475 c.c. non comporti alcuna abrogazione delle norme precedenti, in quanto destinata a spiegare i suoi effetti solo sul piano organizzativo, e che la norma sull’esclusività della competenza gestoria debba leggersi in stretta correlazione con il disposto dell’art. 2086 c.c., che impone:

  • il dovere, per l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, di istituire
  • un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Si distingue, quindi, il piano della organizzazione – la quale spetta esclusivamente agli amministratori –   da quello della operatività della società (e qui la responsabilità dei soci della s.r.l. continua ad essere normata dall’art. 2476 c.c. settimo comma, che li sanziona solo per il caso di comportamenti dolosi).

Adeguamento dello Statuto

Lo studio conclude nel senso che, dal punto di vista operativo, la nuova formulazione dell’art. 2475, comma 1, c.c. non comporta alcun obbligo di adeguamento immediato degli statuti esistenti, né impedisce di inserire negli statuti delle società di nuova costituzione clausole – da ritenersi anche oggi legittime – che eventualmente ripartiscano la “gestione operativa” della società in maniera difforme rispetto al modello legale.

Per approfondire

Il nuovo articolo 2475 c.c. – Notariato Prima lettura – Studio 58-2018/I

Gli strumenti per l’accertamento della crisi e la centralità del business plan.

7 Marzo 2019/in Business plan, Fallimentare, Restartup, Societario/da Perizie di Stima

Gli strumenti per l’accertamento della crisi e la centralità del business plan.

Il CNDCEC, con il documento “Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale nelle società a partecipazione pubblica e indicatori di valutazione.” ha voluto fornire una serie di raccomandazioni per la selezione di strumenti che consentano il monitoraggio del rischio di crisi aziendale, oltre a mettere a disposizione degli operatori un supporto, dotato del carattere di obiettività, per facilitare l’adempimento degli obblighi di legge, anche in considerazione delle conseguenze previste in caso di inosservanza.

Il CNDCEC ha evidenziato come il piano di impresa (o business plan) costituisca il più efficace assetto organizzativo di governo finanziario dell’impresa e di tempestiva rilevazione del rischio di crisi aziendale.

Visione dinamica e prospettica nell’accertamento della crisi.

L’accertamento della crisi, pur non escludendo il ricorso a dati contabili e/o consuntivi, richiede che questi siano valorizzati nella prospettiva della loro capacità di segnalare futuri squilibri; e, in tale ottica, poco significativi allo scopo risultano gli indicatori finanziari, soprattutto se esaminati singolarmente (vale a dire senza un adeguato confronto spaziale-temporale e senza un’analisi congiunta con la ratio e i risultati di gestione che abbraccino le molteplici dimensioni economico-finanziarie-patrimoniali d’azienda) e asetticamente rispetto allo specifico contesto socio-economico in cui opera l’impresa.

L’individuazione della crisi impone una visione dinamica basata sulle prospettive e sulla programmazione aziendale e implica un approccio specifico rispetto alla valutazione in ordine allo stato di insolvenza.

Definizione di crisi

il CNDCEC ritiene di definire la nozione di crisi sulla base del concetto di “incapacità corrente dell’azienda di generare flussi di cassa, presenti e prospettici, sufficienti a garantire l’adempimento delle obbligazioni già assunte e di quelle pianificate”14.

Tale definizione assume la centralità della dimensione finanziaria, sia attuale che futura, attraverso il riferimento ai cash flow anche attesi, con estensione alle obbligazioni non ancora assunte purché prevedibili nel normale corso di attività o in base alla programmazione aziendale.

Gli strumenti per l’accertamento della crisi

Non difettano regole per intercettare i segnali della crisi. Si allude, in particolare, al Principio di revisione (ISA Italia) 570, Continuità aziendale, al Principio 11 delle Norme di comportamento del collegio sindacale, all’OIC 11 – Finalità e postulati del bilancio d’esercizio (§21-24).

Trattasi di regole che richiedono una ragionata e complessa disamina di informazioni di natura qualitativa in aggiunta ai più immediati dati quantitativi, ed esigono di accompagnare la semplice analisi storica dei risultati con un approfondito esame dei piani di azione futuri della direzione e dei relativi flussi finanziari ed economici previsionali.

La centralità del business plan

Il presupposto per intercettare con efficacia e tempestività la crisi è privilegiare le prospettive aziendali e pertanto la disponibilità di dati prognostici: disporre di un piano è il primo requisito della diligente conduzione dell’impresa poiché:

  • solo dal piano emerge in modo inequivocabile la continuità aziendale;
  • è solo il piano che permette di individuare con ragionevole certezza la sostenibilità del debito;
  • è il piano che fornisce all’organo amministrativo le informazioni che consentono ex ante di misurare il fabbisogno finanziario e le risorse disponibili per la sua copertura;
  • è solo il piano che consente di individuare le azioni da adottare per correggere tempestivamente la rotta.
Gli strumenti per l’accertamento della crisi e la centralità del business plan nella valutazione del rischio di crisi aziendale. Condividi il Tweet

Il piano costituisce insomma il più efficace assetto organizzativo di governo finanziario dell’impresa e di tempestiva rilevazione del rischio di crisi aziendale. Di modo che è opportuna l’introduzione di un controllo di gestione atto a consentire un ordinato ed efficace processo di redazione del piano per il monitoraggio dell’andamento aziendale e dei flussi finanziari; mentre per il monitoraggio degli aspetti finanziari (rendiconto) e dei flussi di cassa di breve periodo è utile l’impiego di budget con orizzonte temporale annuale e piani di tesoreria.

disporre di un piano è il primo requisito della diligente conduzione dell’impresa Condividi il Tweet

Per approfondire:

Scarica: Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale nelle società a partecipazione pubblica e indicatori di valutazione.

Seminario di specializzazione: il business plan: strumento di pianificazione strategica, valutazione aziendale e risanamento dell’impresa in crisi

 

Cause per il rinvio dell’approvazione del bilancio

22 Febbraio 2019/in Fisco e Società, Societario/da Fisco e societa

Cause per il rinvio dell’approvazione del bilancio

Cause per il rinvio dell’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci

Le novità previste dalla legislazione speciale in materia di benefici apportati da parte delle amministrazioni pubbliche e l’applicazione della rivalutazione concessa dalla legge sul bilancio 2019 potrebbero essere cause per il rinvio dell’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci, qualora lo statuto sociale contenga tale facoltà.

E’ quanto sostiene il Consiglio nazionale dei commercialisti il quale ricorda come l’art.2364 del codice civile, prevede infatti che l’approvazione del bilancio delle SpA (norma estesa anche alle Srl dall’art. 2478 bis) possa avvenire entro 180 giorni dalla data di chiusura dell’esercizio, anziché entro 120 giorni, qualora “lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all’oggetto della società”.

Sovvenzioni e contributi

In base a quanto previsto dall’articolo 1, commi 125-129 della legge 124/2017, le imprese “che ricevono sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque vantaggi economici di qualunque genere” dalle pubbliche amministrazioni e dai soggetti a queste equiparati hanno l’obbligo (pena sanzione restitutoria) di pubblicare tali importi quando l’ammontare complessivo non sia inferiore a 10.000 euro nella nota integrativa del bilancio di esercizio e, se predisposto, nella nota integrativa del bilancio consolidato.

Rivalutazioni dei beni di impresa

Altro tema che a parere del Consiglio nazionale potrebbe portare al differimento dei termini di approvazione del bilancio è riconducibile alle rivalutazioni dei beni di impresa (Legge 145/2018, art.1, commi 940-950), le quali, come noto richiedono apposite perizie di stime. L’analisi di convenienza della suddetta rivalutazione potrebbe, infatti, richiedere tempi che mal si conciliano con l’approvazione del bilancio entro i 120 giorni.

Cessione di quote e inopponibilità dei documenti redatti in fase di trattativa

8 Febbraio 2019/in Operazioni straordinarie, Societario/da Fisco e societa

Cessione di quote e inopponibilità dei documenti redatti in fase di trattativa

 

La sentenza n. 4597/2018 pubbllicata il 23/04/2018, RG n. 70868/2018, ha ad oggetto una controversia attinente l’esecuzione di un contratto di compravendita di quote sociali.

In particolare, l’attore lamenta il parziale inadempimento di controparte rispetto alle obbligazioni di pagamento assunte con l’operazione di compravendita in oggetto.

Parte convenuta si difende invocando il puntuale adempimento di tutte le obbligazioni assunte all’atto della stipulazione, in conformità al testo letterale del contratto sottoscritto tra le parti.

Documenti redatti in fase di trattativa

Il litigio tra le parti è incentrato sulla corretta interpretazione degli accordi negoziali raggiunti nel tempo.

“In particolare, a fronte del tenore letterale del contratto di cessione sottoscritto (…) l’attore invoca un precedente “accordo” in tesi già definitivamente raggiunto tra le parti con la sottoscrizione (…) di un “cronoprogramma” trasmesso a controparte” dallo stesso attore.

Il Collegio, sulla base della documentazione prodotta, ritiene convincente l’opposto assunto di controparte secondo cui quel documento (il cronoprogramma) “non rappresentava che una prima base di trattativa tra le parti successivamente precisata in diversi stadi fino ad arrivare all’atto notarile di cessione”.

Nel caso di specie, gli accordi raggiunti tra le parti trovano piena corrispondenza nell’atto di cessione redatto dal notaio, non rilevando i documenti “preparatori” alla compravendita antecedenti all’atto notarile di cessione.

Cessione di quote sociali e promessa del fatto del terzo

1 Novembre 2018/in Acquisizione e cessione di azienda, Conflitto tra soci, Fisco e Società, Passaggio generazionale, Societario/da Fisco e societa

Cessione di quote sociali e promessa del fatto del terzo

Cessione di quote sociali e promessa del fatto del terzo: ciò che distingue l’istituto della fideiussione dalla promessa del fatto del terzo è che colui che promette il fatto del terzo (a differenza del fideiussore) non contrae una obbligazione accessoria ad una obbligazione principale (anteriore o concomitante).

Art.1381 c.c. – Promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo

Ai sensi dell’art. 1381 c.c. “Colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l’altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso”.

Sentenza n. 4322/2018 pubbl. il 28/02/2018

La sentenza n. 4322/2018 pubbl. il 28/02/2018 RG n. 45653/2014 ha ad oggetto un’operazione di cessione di quote sociali nella quale l’acquirente si impegna affinché un terzo provveda al pagamento del corrispettivo della cessione medesima.

Parte attrice chiede, in forza di un scrittura privata sottoscritta con il convenuto, il pagamento della somma che quest’ultimo si era obbligato a versare. Il Tribunale accoglie la domanda di parte attrice, chiarendo come la scrittura privata sottoscritta dalle parti rappresenti l’assunzione da parte del convenuto dell’obbligazione di adoperarsi affinché “un terzo” provveda al pagamento del corrispettivo maturato.

Secondo il Tribunale, tale impegno:

“piuttosto che una promessa del fatto del terzo, ai sensi dell’art. 1381 c.c., ha costituito l’assunzione (…) di un’obbligazione fideiussoria a garanzia del debito (…), dovendosi condividere l’orientamento della Suprema Corte secondo il quale nel caso di promessa del terzo all’adempimento di una sua pregressa obbligazione, deve negarsi l’inquadrabilità dell’atto nella previsione dell’art. 1381 c.c. (e quindi negarsi la sua idoneità a produrre il debito indennitario contemplato dalla norma medesima), restando ravvisabile una fideiussione, se la promessa medesima assuma i connotati della garanzia dell’adempimento altrui (cfr. Cass. Civ. n. 16225/03)”.

Come specificato dalla Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 16225 del 29 ottobre 2003

“nella promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo, disciplinata dall’art. 1381 c.c., l’obbligo assunto dal promittente verso il promissario consiste nell’adoperarsi affinché il terzo si obblighi a fare, ovvero faccia, ciò che il promettente medesimo ha promesso alla propria controparte, sicché il rifiuto del terzo non libera il primo, il quale è tenuto a indennizzare il promissorio, mentre la fideiussione assolve alla funzione di garantire un obbligo altrui già (pre)esistente, secondo lo schema previsto dall’art. 1936 c.c., affiancando al primo un secondo debitore di pari o diverso grado”.

Ai sensi dell’art.1936 c.c.

“è fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui. La fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza”.

Si ricorda che, ciò che distingue l’istituto della fideiussione dalla promessa del fatto del terzo è che colui che promette il fatto del terzo (a differenza del fideiussore) non contrae una obbligazione accessoria ad una obbligazione principale (anteriore o concomitante).

Azione di responsabilità dell’amministratore

31 Ottobre 2018/in Conflitto tra soci, Fisco e Società, Societario/da Fisco e societa

Azione di responsabilità dell’amministratore

Onere probatorio e di allegazione del socio attore

La Sentenza n. 18441/2017 pubbl. il 29/09/2017 RG n. 4048/2015 ha ad oggetto la responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e l’onere probatorio e di allegazione del socio attore

Sentenza n. 18441/2017

L’attore chiede che venga accertata la responsabilità del convenuto (amministratore unico della s.r.l.) per i danni che esso avrebbe arrecato alla società a seguito di gravi inadempimenti dei doveri gravanti sull’amministratore in forza dell’incarico gestorio svolto. Il Tribunale afferma che:

“sulla base dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di onere della prova nelle controversie aventi per oggetto l’adempimento contrattuale, non può però dubitarsi che sull’attore che esercita l’azione di responsabilità sociale gravi, comunque, l’onere di allegare condotte inadempienti dell’amministratore e di allegare e provare in modo specifico i danni che ciascuna di tali condotte ha arrecato alla società e l’esistenza del nesso di causalità fra condotte e danni”.

In assenza delle suddette allegazioni, il Tribunale respinge la domanda spiegata dall’attore.

Onere probatorio e di allegazione del socio

È, quindi, la parte che agisce per l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore a dover allegare le condotte e gli inadempimenti di quest’ultimo. Oltre all’onere di allegazione, l’attore deve, inoltre, provare in modo specifico i danni arrecati alla società ed il nesso di causalità tra condotte e danni: gi amministratori rispondono unicamente dei danni che risultano essere conseguenza immediata e diretta della loro condotta inadempiente (da non confondere con il risultato negativo della gestione della società).

Legittimità delle opzioni put e divieto di patto leonino

30 Ottobre 2018/in Acquisizione e cessione di azienda, Fisco e Società, Operazioni straordinarie, Restartup, Societario, Startup, Startup, Valutazione di azienda/da Fisco e societa

Legittimità delle opzioni put e divieto di patto leonino

Legittimità delle opzioni put e divieto di patto leonino, torna l’annosa questione. Con l’ordinanza n.17498 pubblicata il 04/07/2018 la Corte di Cassazione enuncia il seguente principio di diritto: “È lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società”.

Si pone, ancora una volta, la questione della legittimità delle opzioni put e divieto di patto leonino, della legittimità dell’accordo interno tra soci, “uno dei quali si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato”.

La ratio del divieto del patto leonino

La ratio del divieto del c.d. patto leonino “risiede nel preservare la purezza della causa societatis”. La Corte afferma che:

“perché il limite all’autonomia statutaria dell’art. 2265 cod. civ. sussista è necessario che l’esclusione dalle perdite o dagli utili costituisca una situazione assoluta e costante. Assoluta, perché il dettato normativo parla di esclusione “da ogni” partecipazione agli utili o alle perdite, per cui una partecipazione condizionata (ed alternativa rispetto all’esclusione in relazione al verificarsi, o non della condizione) esulerebbe dalla fattispecie preclusiva. Costante perché riflette la posizione, lo status, del socio nella compagine sociale, quale delineata nel contratto di società. Dunque, l’esclusione dalle perdite o dagli utili, in quanto qualificante lo status del socio nei suoi obblighi e nei suoi diritti verso la società e la sua posizione nella compagine sociale, secondo la previsione dell’art. 2265 cod. civ., viene integrata quando il singolo socio venga per patto statutario escluso in toto dall’una o dall’altra situazione o da entrambe” (così Cass. 29 ottobre 1994, n. 8927).

È, quindi, necessario che l’esclusione dagli utili o dalle perdite sia «assoluta e costante», cioè “deve finire per alterare la causa societaria nei rapporti con l’ente-società”. A tal fine, occorre valutare se:

“la causa societatis del rapporto partecipativo del socio in questione permanga invariata nei confronti dell’ente collettivo, o se, invece, venga irrimediabilmente deviata dalla clausola che lo esonera, atteso il suo contenuto, dalla sopportazione di qualsiasi perdita risultante dal bilancio sociale (nel corso della vita della società e sino alla liquidazione del patrimonio) o lo esclude dalla divisione degli utili maturati e deliberati in distribuzione ex art. 2433 cod. civ., o da entrambi, perché solo in tal caso potrà dirsi che l’art. 2265 cod. civ. sia stato violato”.

Seguendo tale impostazione, non potrà assumere alcun significato

“il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa: la quale continuerà ad imputare perdite ed utili alle proprie partecipazioni sociali, nel rispetto del divieto ex art. 2265 cod. civ. e senza che neppure sia ravvisabile una frode alla legge ex art. 1344 cod. civ., la quale richiede il perseguimento del fine vietato da parte di un negozio che persegua proprio la funzione di eludere il precetto imperativo”.

La causa dell’operazione di acquisto delle azioni con opzione put

Come affermato dalla stessa Corte

“ragione pratica del meccanismo in discorso (…) è proprio quella di finanziamento dell’impresa, anche indirettamente, mediante il finanziamento ad altro socio, nell’ambito di operazioni di alleanza strategica tra vecchi e nuovi soci”.

In tali accordi

“la causa concreta è mista, in quanto associativa e di finanziamento, con la connessa funzione di garanzia assolta dalla titolarità azionaria e dalla facoltà di uscita dalla società senza la necessità di pervenire, a tal fine, alla liquidazione dell’ente”.

Inoltre, secondo i giudici (v. anche Cass. 29 ottobre 1994, n. 8927):

“gli interessi sottostanti sono analoghi a quelli rinvenibili nel pegno della partecipazione sociale: ove al creditore, pur non socio, è concesso il diritto di voto, al fine del migliore controllo e “garanzia” (in senso atecnico, non trattandosi di un patrimonio che ex art. 2740 cod. civ. si aggiunge a quello del debitore principale, ma di una causa definibile come assicurativa lato sensu) del suo credito”.

“Come il creditore pignoratizio, sebbene non socio, ha comunque interesse a votare per la valorizzazione della partecipazione sociale, la quale costituisce garanzia reale (stavolta in senso tecnico) del suo diritto di credito, così il finanziatore divenuto socio con clausola put ha un sicuro interesse a favorire le buone sorti della società e, con esse, del suo investimento: sia perché ha eseguito il conferimento, avendo investito pur sempre nell’intento di moltiplicare il valore del proprio denaro e non soltanto di recuperarlo dopo un dato periodo di tempo, sia soprattutto perché il suo debitore proprio grazie al successo dell’impresa economica potrà, con assai maggiore probabilità, restituire l’importo pattuito”.

La Corte, in conclusione afferma che:

“nell’opzione put a prezzo preconcordato si assiste all’assoluta indifferenza della società alle vicende giuridiche che si attuano in conseguenza dell’esercizio di essa, le quali restano neutrali ai fini della realizzazione della causa societaria, già per la presenza di elementi negoziali idonei a condizionare il potere di ritrasferimento a circostanze varie, capaci di orientare la scelta dell’oblato nel senso della vendita, ma anche della permanenza in società; onde non ne viene integrata l’esclusione da ogni partecipazione assoluta e costante dalle perdite”.

In tale negozio giuridico,

“il socio finanziatore assume tutti i diritti e gli obblighi del suo status, ponendosi il meccanismo sul piano della circolazione delle azioni, piuttosto che su quello della ripartizione degli utili e delle perdite”.

In sintesi

Se l’opzione put assolve ad una funzione di finanziamento del socio, ai fini di incentivazione dell’impresa economica collettiva, non alterando la causa societaria, non si ritiene che tale clausola possa integrare la violazione del divieto del patto leonino ex art. 2265 c.c.

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