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Archivio per categoria: Impresa

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Il consulente che preferisco è sporco di grasso

31 Marzo 2015/in Case History, Fallimentare, Impresa, Riflessioni, vita da consulente/da Riflessioni

Il consulente che preferisco è sporco di grasso

La dinamica del concordato preventivo ed il ruolo del professionista.

 

In questo periodo di crisi economica mi trovo sempre più spesso a dover predisporre o attestare piani di risanamento.

Fatti ovviamente salvi i casi virtuosi in cui si ha la fortuna di lavorare con ottimi professionisti e con imprenditori consapevoli di quanto accade loro intorno, sempre più spesso mi accorgo che i casi degli “insalvabili” presentano più o meno le caratteristiche che descrivo sotto.

Purtroppo troppo spesso il sistema che gravita intorno all’impresa non da l’allarme, spesso racconta una storia rassicurante che impedisce all’imprenditore di percepire la gravità della crisi per tempo. La prima vera autocritica che il sistema Italia dovrebbe fare è proprio questa: aver spesso ingannato chi fa impresa.

Ormai mi fido solo dei consulenti sporchi di grasso e olio che si mettono con noi ad analizzare costi e procedure in fabbrica, quelli che cambiano la produzione e non propongono miracoli, quelli con la faccia stanca per aver analizzato i dati di vendita, i prezzi, i mercati alternativi. 

Fuggo da quelli sereni e riposati, con camicia bianca impeccabile, quelli che con le banche ci penso io, quelli che è un attimo che ti faccio un piano credibile…. che è una follia che non si trovi un attestatore pronto a firmare….

Ecco, in estrema sintesi ed in maniera non esaustiva, le fasi della crisi, un pò ci rido e banalizzo, ma non sono molto distante dalla realtà (sia chiaro che non sottovaluto né le difficoltà del fare impresa, né la vera e propria rivoluzione che ha attraversato interi settori della nostra economia, in particolare nel preziosissimo mondo della manifattura). 

FASE 1: sonni tranquilli

L’imprenditore è sereno: 
Negli ultimi 4 o 5 anni l’impresa è sempre stata in perdita, continua a perdere, nessun cambio di rotta viene preso in considerazione. La colpa è della crisi e non esistono leve da utilizzare per modificare le cose, bisogna solo aspettare che passi.

Le banche sono serene:
Continuano felici a finanziare le perdite, non finanziano più da anni investimenti, solo perdite. La colpa è della crisi e non esistono leve da utilizzare per modificare le cose, bisogna solo aspettare che passi. Nel frattempo qualcuno più accorto inizia a chiedere all’imprenditore maggiori garanzie personali o reali sugli immobili che tanto sono l’unico valore vero, che a chiedere ipoteca non si sbaglia mai.

Il commercialista è sereno:
L’impresa ha spalle larghe, La colpa è della crisi e non esistono leve da utilizzare per modificare le cose, bisogna solo aspettare che passi. Magari un paio di operazioni di bilancio, anche lecite, per ricreare il patrimonio, tutti tranquilli, soprattutto il cliente che è meglio non perderlo.

FASE 2: Il risveglio

L’imprenditore è spaventato
Improvvisamente le banche iniziano a muoversi, riducono i fidi, emerge qualche insoluto, scopre che operazioni di bilancio sono servite solo a prender tempo, tempo che purtroppo non è stato utilizzato per risanare l’impresa.

Le Banche si fanno più attente
Qualche software le avvisa che i bilanci non sono cosi solidi, che il patrimonio si sta consumando, qualche incongruità su alcune poste. Il Direttore chiede un incontro, inizia aggressivo, chiede di elaborare un piano di rientro, e trema quando sente le parole piano di ristrutturazione del debito. L’incontro successivo avviene in azienda ed il direttore improvvisamente scopre che l’intera via è tappezzata da cartelli vendesi ed affittasi… il capannone non vale nulla. Dramma.

Il commercialista inizia a preoccuparsi

Come chiuderemo il bilancio quest’anno? Come? han ridotto i fidi? Banche cattive… su questo si trovano d’accordo tutti, senza pensare che l’errore delle banche è aver dato troppo, non troppo poco.

FASE 3: inizia a grandinare

L’imprenditore è terrorizzato e paralizzato
Le Banche tagliano i fidi, i fornitori chiedono pagamenti anticipati, non capisce, non si fida, qualcuno propone di rivedere costi e produzione ma non ascolta, è il suo regno, ha già controllato e ricontrollato tutto. Muoviamo il bilancio, parliamo con le banche ma la produzione è perfetta. 

Le Banche temporeggiano
tagliano i fidi ma il debito resta, non si muovono, temono di perdere tutto, aspettano il piano di risanamento.

Il commercialista si inventa stratega
Recupera on line un programmino excel, inizia a fare piani finanziari e ad analizzare i bilanci dei concorrenti, vuole rendersi utile, scopre che non c’è tempo, ma non demorde, studia, ci prova, inizia la serie infinita di riunioni con l’imprenditore che si concludono con l’immancabile: Banche cattive… su questo si trovano d’accordo tutti 

FASE 4: Arriva il consulente

Scenario 1: il consulente “ghe pensi mi”
E’ immediatamente simpatico all’imprenditore, è il suo ariete contro le banche cattive che il timido commercialista non è riuscito a convincere.
Non pone problemi ma soluzioni. Tutto ruota intorno alla finanza, l’impresa può continuare cosi e soprattutto non entra in fabbrica, regno incontrastato dell’imprenditore.
Lui sa. Incontra, riunisce, predispone, sceglie i colori delle slide e fattura, fattura, un monte ore impressionante a costi rilevanti. Del resto chi non pagherebbe oro il salvatore dell’impresa?
Poi qualcosa non va, i soldi finiscono, i fornitori non si fidano, le banche sono cattive (anche se la sorte è avversa resta simpatico all’imprenditore). Tutto si avvita, l’attestatore non firma, l’azienda si ferma.

Scenario 2: L’ingegnere, il controller, il commercialista o chi per lui…
Per una serie di coincidenze fortunate (collegio sindacale serio, commercialista preparato, imprenditore che mette in moto la sua rete di relazioni) si presenta un tipo strano, che finchè non capisce non demorde, che conosce excel più di sua moglie, che mette in crisi le certezze dell’imprenditore.
Si trasferisce in azienda, giorni intensi, tutto ruota su produzione e vendite, il resto verrà dopo, deve capire, chiede, chiede, chiede, definisce le procedure, i tagli, la riduzione forza lavoro, tranquillizza gli interlocutori. In questo caso con un pò di fortuna e se non si arriva tardi l’impresa si salva, l’imprenditore (vero motore di tutto) si rimette in gioco, ascolta le domande e trova nuove risposte (perché per esperienza è sempre l’imprenditore che trova le risposte. I consulenti devono solo saper far le domande giuste). 

Il fattore tempo spesso è determinato, oltre che dall’imprenditore, dalla professionalità del collegio sindacale e del commercialista. E’ qui il nostro ruolo, forse il più importante. Lanciare l’allarme in tempo.

Purtroppo a fronte di una crisi feroce e complicata non sempre l’offerta di consulenza (commercialisti compresi, giusto per tranquillizzare le altre categorie e non sottrarci all’autocritica) si dimostra adeguata. Sugli altri attori presenti in scena ( banche, associazioni di categoria, stampa, governo, ecc ), il discorso si fa più complesso…

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Un Paese di terzisti che si credevano imprenditori

24 Marzo 2015/in Case History, Impresa, Riflessioni, vita da consulente/da Riflessioni

Un Paese di terzisti che si credevano imprenditori

Riproponiamo un articolo di qualche anno fa ma ancora attuale.

Credo che sia venuto il momento di riflettere sulle cause di questa crisi che sembra essere senza via d’uscita. Purtroppo per anni ci siamo vantati di essere un Paese ad imprenditorialità diffusa. Grandi talenti, gran voglia di lavorare, gran voglia di farcela mettendosi in proprio, questi i vanti delle italiche genti cantate da menestrelli, ISTAT e professori universitari. In parte è vero, il genio italico ha fatto molto, ma se vogliamo dircela tutta molti fattori spingevano verso l’apertura di nuove imprese (non a caso spesso incentivate dal vecchio datore di lavoro):

  • il limite dei 15 dipendenti;
  • il fatto che aprire una partita iva o esser socio di società costasse meno (soprattutto in passato) in termini contributivi rispetto ad esser lavoratore dipendente;
  • ricordiamo poi che imprenditori e partite iva fatturano a prodotto/servizio e non a ore (chi lavora in proprio provi velocemente a fare il conto dei propri straordinari…);
  • la possibilità di evadere il fisco;
  • certamente la voglia di fare e di costruire la propria impresa.

Nulla contava di più del saper lavorare in fabbrica

Per molti anni ciò che veniva richiesto ad un imprenditore era di saper produrre.  Finanza, mktg, lingue straniere… nulla contava di più del saper lavorare in fabbrica e delle ore che passavi con i tuoi operai.

Poi improvvisamente l’euro, la Cina, internet e ancora gli arabi, Dubai, l’innovazione.

Ma non era cosi grave, certo le imprese non andavano più come un tempo ma gli immobili volavano, la borsa tirava e la famiglia di certo non si impoveriva. E se in azienda si iniziava ad avere il fiato corto, be nessun problema, un giorno si e l’altro pure le banche chiamavano per offrire soldi a tassi bassi. In fin dei conti aumentano i debiti ma la cassa è sempre piena, la crisi prima o poi passerà e se le banche son le prime a credere nella mia impresa che problema c’è?

Tutto bene signor comandante!

Tutto bene fino alla crisi finanziaria, le banche si svegliano, tirano i cordoni della borsa ed improvvisamente tutto quello che non funziona emerge immediatamente. In pochi anni pretendiamo dal nostro imprenditore che conosca le lingue, che capisca che internazionalizzazione è cosa diversa che esportare, che si confronti con ottimi prodotti provenienti dall’estero a prezzi più bassi, molto piu bassi… Improvvisamente si sommano diversi fattori:

  • le imprese sono vecchie e fuori mercato
  • stretta del credito
  • debiti derivanti da anni di perdite subite senza mai cambiare (tanto c’è la banca)
  • immobili crollano e non si vendono più (neanche le banche li vogliono, eppure li amavano tanto…)
  • lo Stato ha fame.

E si, lo Stato ha fame.

Perchè se non fai utili, non paghi le tasse, e lo Stato ha fame, sempre più fame. Ora che immobili e borsa non rendono più come prima (anche se la borsa continua ad illudersi e ad illuderci) ci tocca lavorare per vivere e scopriamo che non ci sono infrastrutture, che manca la banda, che i treni sono lenti, che il sud è irraggiungibile, che Trieste patria delle Generali è irraggiungibile!

Troppi discorsi da bar sul made in Italy

Ed in Italia si smette di comprare o comunque si è più attenti, troppi discorsi da bar sul made in Italy, che se non si trasforma in qualità percepita non serve a nulla, freghi solo i russi e temo ancora per poco. E nessuno prova a riflettere su cosa sia davvero il made in Italy, che non è solo produrre in Italia a prezzo doppio. Il caro non sempre è lusso. E se non si trasforma in margini poi …

Per placar gli animi per fortuna che ci son le startup

Che poi in molti casi non sono altro che le vecchie partite iva. E’ un fenomeno importante ma che va depurato da illusioni, interessi particolari di sponsor e consulenti, ecc. Hanno tutti criticato Briatore per il suo intervento in Bocconi ma nessuno ha sottolineato una grande verità che è stata detta.

Una impresa deve far utili.

E a dirlo non è solo Briatore. Ricordo, ancora studiavo, una domanda fatta a Henry Kissinger ad un convegno sempre in Bocconi. Ai tempi andava molto di moda il tema della responsabilità sociale dell’impresa.  Lui rispose molto secco: il primo dovere di una impresa è quello di far utili, pagare gli stipendi ai dipendenti e remunerare gli azionisti.  Ma non voglio chiudere queste riflessioni senza una nota di ottimismo, proviamo a capir le cause, smettiamo di combattere finti problemi, questo Paese ha energie e risorse per risollevarsi, la cultura imprenditoriale sta crescendo molto (merito anche del fenomeno startup e dei mille convegni), alto artigianato, turismo, eccellenze industriali sono ciò che dobbiamo valorizzare per ripartire. E poi le università, si sono finalmente aperte alle imprese, molto devono ancora fare per aiutarci a far sistema e diffondere innovazione ma questa apertura è una risorsa straordinaria che va incoraggiata, sviluppata. Incontro tutti i giorni imprenditori che stan crescendo, che sopportano mille fatiche, che han dovuto ribaltare completamente la loro impresa ma che stan crescendo. Io continuo ad aver fiducia ma il primo passo per risolvere un problema è conoscerne le cause e su questo il dibattito è ancora molto latente.

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Ricordati di chi sei figlio.

4 Marzo 2015/in Case History, Impresa, Lezioni e convegni, Passaggio generazionale, Riflessioni, vita da consulente/da Andrea Arrigo Panato

Ricordati di chi sei figlio

Il passaggio generazionale di Studio Panato spiegato agli studenti della Università Bocconi

Oggi ho partecipato in qualità di ospite ad una lezione del corso piccole e medie imprese in Bocconi. Il Professor Federico Visconti, che ringrazio, mi ha offerto l’opportunità di portare la mia testimonianza agli studenti dell’ Università, provando a raccontare quello che è stato il mio percorso professionale, la storia e l’evoluzione di Studio Panato.

Una bellissima occasione per ripercorrere le tappe, le sfide e le paure di quando ho iniziato a lavorare fino ai primi successi ed alla consapevolezza di una professionalità più matura.

È sempre bello ritornare in Bocconi, ricordare quante amicizie sono nate tra quei banchi, quanto le devo per avermi fornito gli strumenti per superare le mille difficoltà che ognuno di noi incontra nella vita.

L’eterna sfida del cambiamento

Tema dell’incontro era affrontare, attraverso un’esperienza concreta, alcuni temi quali: passaggio generazionale, evoluzione della professione, startup e contaminazione delle attività tradizionali. Il tutto portando l’esempio di Studio Panato e di altre realtà che hanno saputo affrontare la crisi e che mi hanno fornito più di uno spunto di riflessione come Berto Salotti, Centro Medico SantAgostino, ed altri. Un’ultima parte era risevata all’avventura di MySolution | Post e al mondo dell’editoria.

Realtà spesso differenti tra loro ma caratterizzate dalla voglia di mettersi in gioco e ridisegnare il business model del settore in cui operano.

Un’esperienza davvero piacevole complice una classe attenta e stimolante.Raccontare di noi riserva sempre delle sorprese, dover mettere nero su bianco la nostra storia ci fa trovare nuove o spesso sottovalutate connessioni in un eterno gioco, da “unisci i puntini”.

Ricordati di chi sei figlio

Mi sono scoperto dedicare una parte importante della presentazione agli insegnamenti ricevuti da mio padre: frasi, racconti, sensazioni di cui, senza accorgermene e senza consapevolezza alcuna, ho fatto tesoro negli anni successivi.

Insegnamenti che non riguardavano direttamente la gestione dello Studio (ho perso mio padre a diciannove anni, era troppo presto per un confronto di quel tipo) ma che sicuramente hanno influenzato il mio modo di intendere la professione.

Qui ne riporto alcuni, per come sono stato capace di sintetizzarli:

  • L’importanza del nome;
  • Ciò che fai lo fai entro i quaranta anni, poi consolidi;
  • Saper delegare è importante;
  • Solo se sei bravo ti diverti in quello che fai;
  • Non basta esser bravo, devi farlo sapere.

Tra innovazione e tradizione

Non nascondo di aver provato una forte emozione nel rendermi conto che gran parte dell’innovazione che pensavo di aver portato in Studio altro non è che una riscoperta dei valori fondamentali, certo aggiornati, di una tradizione che nonostante una discontinuità traumatica è riuscita a tramandarsi di padre in figlio.

La consapevolezza di dovere molto a molti. Ma a qualcuno di più. 

Oggi è stata una giornata speciale, alla soddisfazione professionale di aver portato la nostra testimonianza in Università si è aggiunto il riaffiorare di ricordi personali molto importanti e la consapevolezza di dovere molto a molti. Ma a qualcuno di più. 

La consapevolezza di dovere molto a molti. Ma a qualcuno di più. Condividi il Tweet Il passaggio generazionale di Studio Panato spiegato agli studenti della #Bocconi Condividi il Tweet

Strategie per vincere la crisi

8 Gennaio 2015/in Case History, Impresa, Riflessioni/da Riflessioni

Strategie per vincere la crisi

Una ricerca di Confindustria ed Università Bocconi

Articolo sviluppato su una sintesi pubblicata su Mysolution e qui riprodotto per gentile concessione dell’Editore

L’economia italiana ha risentito pesantemente della grande recessione ma la sua fase di difficoltà, in realtà, precede la crisi internazionale. È da vent’anni che la crescita langue.

Stiamo affrontando una crisi che ha cambiato e cambia profondamente il mercato competitivo globale. In questo contesto credo sia interessante riproporre una ricerca frutto di una collaborazione tra Confindustria ed Università Bocconi, documento datato ma sempre valido per trarre spunti su quali strategie implementare per vincere la crisi.

Perché, come abbiamo dimostrato, vincere la crisi si può e chi sopravvive alla crisi cresce del 26%.

A fronte di una performance aggregata negativa, infatti, alcune imprese sono state in grado di adattarsi con successo al nuovo contesto competitivo. Secondo dati Cerved, fra il 2007 e il 2012 più di 3.000 imprese di medie dimensioni hanno almeno raddoppiato il fatturato, grazie anche a un alto tasso di investimento, in particolare in capitale immateriale.

 

I dati della Crisi

Riportiamo due recenti ANSA che danno una idea delle difficoltà del nostro Paese a ricreare un ambiente atto a favorire la nascita e lo sviluppo delle imprese.

(ANSA) – MILANO, 2 DIC – Nuovo record negativo per i fallimenti: tra luglio e settembre hanno aperto una procedura fallimentare 3.000 imprese (+14,1%) in Italia. Dall’inizio dell’anno le chiusure aziendali sono 11.000: è la prima volta nel decennio che viene superata soglia 10.000 già a settembre. Secondo i dati diffusi da Cerved, l’aumento è a due cifre (+13/14%) in tutta la Penisola, eccetto che nel Nord Est (+4,4% nei nove mesi).

(ANSA) – ROMA, 2 DIC – Nel 2013 la stima del numero delle imprese attive con dipendenti è di 1.583.375 unità; occupano 13,3 milioni di addetti, di cui 11,4 milioni sono dipendenti. Rispetto al dato definitivo del 2012 si registra un calo del numero di imprese con dipendenti del 3,7%. Lo rileva l’Istat. Il calo dell’occupazione è del 2,3% in termini di dipendenti. Le contrazioni più forti nelle Costruzioni (-7,6% il numero delle imprese e -9,3% in termini di dipendenti).

Il falso trade off tra costo e qualità

L’elemento comune delle imprese che hanno saputo affrontare con successo la crisi è il riposizionamento su fasce di prodotti in cui la competizione avviene soprattutto su caratteristiche del bene non immediatamente replicabili dai concorrenti, particolarmente di paesi in via di sviluppo.

Tutte le aziende analizzate, a parità di obiettivo, hanno implementato soluzioni tecniche differenti e hanno agito su molteplici driver competitivi, mostrando chiaramente come quello tra costo e qualità sia solo un falso trade off. Queste imprese hanno investito in innovazione, in marchi, nell’organizzazione dell’impresa, nella distribuzione: sostanzialmente hanno investito in capitale immateriale.

La dimensione d’impresa rappresenta un elemento importante. Imprese molto piccole non hanno la scala necessaria per sostenere questi tipi di spese. La ridotta dimensione era un vantaggio quando la competizione era soprattutto sui costi di produzione. Oggi che si è progressivamente spostata su altri ambiti caratterizzati da importanti costi fissi, diventa un fardello.

Fasi di crescita richiedono apporti di capitale di rischio e di capacità manageriali nuove. Non sempre queste risorse si ritrovano nell’ambito familiare. Aprire il capitale a nuovi soggetti contribuisce a cogliere appieno le opportunità di crescita. 

 

Ricerca Confindustria – Università Bocconi

Questa iniziativa ha avuto come partner sia Confindustria sia l’Università Bocconi, perché questo lavoro è il punto d’incontro di due percorsi di studio.

Da un lato, infatti, è parte integrante del progetto “Le imprese italiane oltre la crisi: strategie di sviluppo e cambiamento nella competizione globale”. Attivato da Confindustria a livello nazionale con il coinvolgimento complessivo di 500 imprese, è un concreto esempio del “fare sistema”.

Dall’altro, è la prosecuzione ideale dello studio “Così l’impresa muove e vince”, realizzato nella prima parte del 2008, appena prima dello scoppio della crisi, nell’ambito dell’Osservatorio Assolombarda Bocconi sulla competitività delle imprese lombarde.

La gran parte delle aziende analizzate appartiene alla categoria delle imprese piccole o medio piccole. In pochissimi casi si sono raggiunte dimensioni tali per cui potrebbero sorgere problemi di “ipercomplessità organizzativa” o di “diseconomie di scala”. Ciò, semplicemente, significa che per quasi tutte le imprese qui studiate l’obiettivo della crescita dimensionale è un obiettivo primario.

Questo è ben chiaro a tutti i capi azienda che hanno partecipato alla ricerca; ed è anche chiaro che l’obiettivo della crescita dimensionale non è in alternativa rispetto a quello della crescita dei livelli qualitativi e prestazionali dei prodotti. E’ a tutti chiaro che crescenti livelli qualitativi e prestazionali dei prodotti, e i decrescenti livelli dei costi, sono solo condizioni di esistenza, non di crescita e sviluppo.

 

Modalità di crescita e strumenti di aggregazione interaziendale

I principali risultati della ricerca sono:

  • crescere rapidamente si può: sia rimanendo nel core business, sia diversificando ed eventualmente trasformando il business model;
  • crescere rapidamente si può: sia mantenendo costante la proprietà sia aprendola in una delle varie forme possibili;
  • per crescere rapidamente si deve percorrere la strada delle acquisizioni;
  • è opportuno che le acquisizioni siano lo sbocco di precedenti aggregazioni in forma di alleanze e di joint venture;
  • in altri termini, occorre essere molto attivi nell’uso contemporaneo di tutti gli strumenti di aggregazione interaziendale.

Mosse strategiche

Sono state inoltre analizzate le principali mosse strategiche ovvero 9 classi di interventi aventi per oggetto, rispettivamente:

  • l’ampiezza della gamma dei prodotti offerti e dei mercati di sbocco
  • la qualità e il contenuto tecnologico dei prodotti offerti
  • la riduzione dei costi e l’aumento dei prezzi
  • l’attività commerciale e i servizi post vendita
  • l’integrazione verticale a monte e a valle
  • la delocalizzazione all’estero e la ri-localizzazione in Italia
  • le fusioni, acquisizioni e partnership
  • le persone, l’organizzazione, i sistemi di gestione
  • l’assetto societario e proprietario

La parte più interessante della ricerca è però rappresentata dai casi aziendali. Una interessante occasione di scambio di idee, un’interazione indispensabile per sviluppare nuove visioni e ridisegnare l’ impresa.

Per approfondire:

Imprese oltre la crisi, ricerca e casi di studio a cura di Confindustria ed Università Bocconi

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Nuovi progetti 2016

3 Gennaio 2015/in Articoli, Impresa, Riflessioni, vita da consulente/da Andrea Arrigo Panato

Nuovi progetti 2016

L’importanza di fare ordine, meno e meglio

Articolo pubblicato su Mysolution e qui riprodotto per gentile concessione dell’Editore

Fedeli alla tradizione iniziamo l’anno con un articolo sui nostri buoni propositi. L’anno appena passato mi ha regalato parecchie soddisfazioni, confermando che devo pianificare ma soprattutto che è giusto a volte essere capace di chiudere gli occhi e seguire un progetto più ampio fidandomi del mio istinto.

Nel sito del mio Studio compare, tra le altre, la foto di una tenda illuminata in piena notte con il claim “non lavoriamo di notte (ma può capitare)”. Lo scorso anno è capitato per dare una mano a qualche cliente come è capitato di affrontare pratiche complicate ma abbiamo comunque avuto la soddisfazione di superare le varie difficoltà che abbiamo incontrato sul nostro cammino.

Come sempre quando ci si guarda indietro si scopre che bisogna approfondire qualche intuizione che nella fretta abbiamo sottovalutato:

  • Il valore della coerenza: ne ho già parlato nello scorso editoriale, è importante in tutto nella strategia, nella scelta del cliente, nella qualità del servizio, nell’immagine, ecc;
  • Fare ordine liberandosi delle cose inutili: ridurre l’archivio, ridurre la carta, non accumulare ma razionalizzare;
  • Stabilire le priorità: il motto del prossimo anno deve essere meno e meglio.
  • Focalizzarsi: un progetto alla volta, pianificare, darsi i tempi, dotarsi di una struttura

Editoria, pubblicazioni, convegni… meno e meglio secondo un piano editoriale di Studio, all’interno di una strategia e di priorità condivise al servizio della qualità della consulenza da servire al cliente che deve essere l’unico vero obiettivo.

Fermandosi a riflettere si liberano energie per tornare a crescere nonostante i mille ostacoli che la burocrazia italiana ci pone ogni giorno.

Complicare è facile,

semplificare é difficile.

Per complicare basta aggiungere,

tutto quello che si vuole:

colori, forme, azioni, decorazioni,

personaggi, ambienti pieni di cose.

Tutti sono capaci di complicare.

Pochi sono capaci di semplificare.

Per semplificare bisogna togliere,

e per togliere bisogna sapere che cosa togliere,

come fa lo scultore quando a colpi di scalpello

toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’é in più.

Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno

una scultura bellissima, come si fa a sapere

dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura?

Togliere invece che aggiungere

vuol dire riconoscere l’essenza delle cose

e comunicarle nella loro essenzialità.

Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode….

La semplificazione è il segno dell’intelligenza,

un antico detto cinese dice:

quello che non si può dire in poche parole

non si può dirlo neanche in molte.

Tratto da Verbale Scritto, raccolta di scritti di Bruno Munari

Pochi giorni fa ne parlavo proprio con un amico penalista. Ha da poco fondato un nuovo Studio in centro a Milano e mi complimentavo con lui per l’ordine e la serenità che il suo Studio trasmetteva pur essendo impegnato in una causa che lo portava spesso al centro della cronaca nazionale. Colori chiari, arredamento accogliente, luce, tecnologia.

Ora comprendo meglio l’importanza del colore bianco per Apple e la filosofia che ci sta dietro. Dobbiamo anche come professione imparare a vederci ed esser visti diversamente.

La semplificazione è il segno dell’intelligenza

Dobbiamo imparare a fare rete per pianificare prima le procedure e proprio di questo si occuperà il nuovo progetto di cui vi parlerò nei prossimi mesi.

Per semplificare bisogna togliere,

e per togliere bisogna sapere che cosa togliere

Ritrovarsi tra amici per confrontarsi, per approfondire e formalizzare. È un progetto a cui tengo molto e che credo farà piacere a chi ne farà parte ma anche ai lettori che beneficeranno dei frutti.

Togliere invece che aggiungere

vuol dire riconoscere l’essenza delle cose

e comunicarle nella loro essenzialità.

È il primo concreto tentativo di trasformare MySolution|Post in un momento di confronto attivo, sperimentando le nuove tecnologie ed una rete informale aperta a chi ne vorrà far parte. Uno strumento per andare oltre al tradizionale rapporto autore/lettore.

Servono ingegneri non comunicatori

23 Novembre 2014/in Impresa, Riflessioni, Startup/da Riflessioni

Serve un sistema che supporti gli investimenti e l’innovazione

Articolo pubblicato su Mysolution e qui riprodotto per gentile concessione dell’Editore

In Italia, come troppo spesso accade, invece di rimboccarci le maniche e provare a costruire il futuro cerchiamo le più intriganti scorciatoie cosi ricche di soddisfazioni nel breve periodo ed altrettanto aride nel lungo. Si indica la comunicazione on line come futuro per le nostre PMI dimenticando che in un mercato maturo serve innovazione di prodotto e di processo.

Rubo ad un recente tweet di Edoardo Natuzzi, imprenditore ed opinionista su diversi quotidiani, il titolo a questo post. In Italia, come troppo spesso accade, invece di rimboccarci le maniche e provare a costruire il futuro cerchiamo le più intriganti scorciatoie cosi ricche di soddisfazioni nel breve periodo ed altrettanto aride nel lungo.

Assistiamo ad una ampia campagna stampa, supportata dalla comunicazione governativa, che si concentra su incubatori, startup, comunicazione on line.

Troppo spesso ci sentiamo dire che il nuovo mercato delle nostre PMI deve essere il mondo e che il mondo si raggiunge con Internet, con l’e-commerce, con social media.

Purtroppo ci si dimentica che oltre a questo innovazione ed internet stessa ormai devono avere alla base attività di ricerca, di sviluppo di nuovi processi organizzativi, innovazioni produttive e competenze economiche non banali.

In sintesi ci stiamo comportando come se il mercato fosse ancora in fase pionieristica sottovalutando che le principali aziende sul mercato hanno smesso di frequentare i garage da parecchio tempo.

Google ed Apple studiano e lavorano su progetti in ambito biomedicale. Perché ai nostri ragazzi non lo spieghiamo? Non è più esser su facebook il futuro, non lo è più da tempo.

Riporto da Wikipedia una definizione pomposa e forse fin troppo ambiziosa:

L’ingegnere è un professionista qualificato in ingegneria, ossia quella vasta disciplina che sfrutta le conoscenze matematiche, fisiche e chimiche per applicarle alla tecnica utilizzata in tutti gli stadi di progettazione, realizzazione e gestione di dispositivi, macchine, strutture, sistemi e impianti finalizzati allo sviluppo del genere umano e della società.

In sintesi: si cresce se si studia, se si fa fatica, se si investe.

Se confrontiamo i dati Unioncamere con la Ricerca Pmi Zurich 2014 presentata nelle scorse settimane scopriamo che le nostre piccole e piccolissime imprese, pur mediamente più ricche di quelle degli altri Paesi investono poco su nuove strategie per espandersi e crescere, applicando soprattutto strategie difensive e conservative.

  • solo il 22,5% del campione italiano vede tra le principali opportunità di questa fase la ricerca e la conquista di «nuovi segmenti di clientela.
  • l’attenzione maggiore è nel mettere a punto strategie di tagli di costi. Considerando che la crisi dura ormai da anni temo che ci sia rimasto davvero poco da tagliare.

La ricerca evidenzia inoltre che le PMI italiano sono sotto la media europea in:

  • «diversificazione di prodotti e servizi (14% noi, contro la media Ue di 18,5%),
  • «nuovi canali commerciali»,come il Web (13% a 18%);
  • adozione di «nuove tecnologie» (10% a 13%);
  • «espansione in mercati esteri» (10,5% a 12,1%).

Dalla ricerca emerge inoltre che nessun Paese europeo ha una quota di Pmi online minore della nostra.

Siamo però sicuri che il problema sia solo avere un sito? Siamo sicuri che non sia necessario avere strutture di ricerca (università, ecc..) maggiormente meritocratiche? Siamo sicuri che, rimprendendo il tweet di Edoardo Natuzzi, non servano più ingegneri? Siamo sicuri che internet sia solo uno strumento, potentissimo sia chiaro, ma che dietro ad un sito non sia tutta l’organizzazione aziendale a dover cambiare?

Perché un sito in realtà non è altro che un business plan. I nostri artigiani vendono on line solo se hanno prodotti di qualità da offrire. Perché il Made in Italy deve tornare ad essere qualcosa di più di un prodotto costoso prodotto in Italia.

Questo Paese, complici pesanti conflitti di interessi, rischia di essere troppo indulgente con se stesso ed ingannare i propri ragazzi che devono invece rappresentare una risorsa importante su cui investire.

Ogni iniziativa utile ad aprire nuovi orizzonti ad imprese e professionisti è bene accetta ma prima definiamo bene gli obiettivi. Se sbagliamo quelli sbagliamo tutto.

Attacco al Made in Italy, il cerchio si stringe.

7 Novembre 2014/in Case History, Impresa, Riflessioni/da Riflessioni

Attacco al Made in Italy

Articolo pubblicato in estratto sul mensile Strade

La scarsa competitività del Paese sta modificando la percezione di un marchio “Made in Italy” tradizionalmente molto trasversale e rivolto ad un pubblico ampio e variegato. Se da una parte ci consola che il marchio “Made in Italy” sia sempre più focalizzato sull’alta gamma, appare preoccupante che per i marchi premium questo non rappresenti più un elemento cosi distintivo.

Premessa: il caso Report/Moncler

Abbiamo assistito tutti, o quantomeno abbiamo letto i relativi commenti ed articoli, alla puntata di Report sul caso Moncler.

Non voglio qui affrontare il dramma delle oche (che non sottovaluto), né l’opportunità che una televisione pubblica si permetta di sindacare sui margini di una azienda privata, attaccando non un comparto (se gli altri produttori di piumini si comportano diversamente allora mi taccio) ma una singola impresa, quotata.

Toccherà a Moncler, nei modi che riterrà più opportuni, difendersi e dimostrare l’infondatezza delle accuse.

Non mi interessa neanche analizzare con attenzione il caso di cattiva gestione della crisi dei responsabili comunicazione di Moncler.

Tutto questo è stato affrontato in rete da mille articoli. Non saprei aggiungere nulla di più.

Ascoltare gli imprenditori

Ho trovato invece molto interessante ascoltare gli Imprenditori, sia Ruffini sia Cucinelli.

Purtroppo i giornalisti erano troppo impegnati a dimostrare una tesi ed hanno dato poco peso ad affermazioni che credo siano invece molto interessanti e che mi hanno riportato alla mente un articolo di qualche giorno fa.

Mi ha colpito in particolare la riproposizione di una intervista dell’amministratore Ruffini, che mi ero perso e che è passata un po’ sotto traccia, in cui dichiarava che a lui non interessa il concetto di made in Italy, Moncler è un marchio che sceglie il meglio ovunque lo trovi.

Dichiarazione più che legittima sia chiaro. Mi ha colpito molto sia il contenuto sia il fatto di non esserne rimasto personalmente scandalizzato.

Sicuramente inutile puntare sul made in Italy per un marchio percepito come francese.

Non avevo però mai sentito un attacco, indiretto se volete, cosi forte e sincero al “prodotto in Italia”.

Sia chiaro, so benissimo che i maggiori stilisti producono all’estero ma so anche che cercano tutti di nasconderlo o farlo dimenticare.

Il made in Italy è sempre stato (e per il lusso resta) un plusvalore importante.

Lo stesso Cucinelli, così lodato da Report, ha fatto una affermazione molto interessante, anche questa passata sotto traccia essendo l’attenzione puntata sul mantenimento dei posti di lavoro in Italia.

Cucinelli ha detto che per lui il made in Italy è un plusvalore perché il suo è un marchio di lusso a differenza di altre aziende che lavorando in segmenti premium possono avere visioni differenti. L’affermazione non è banale. Significa che il cerchio si stringe per molte imprese.

Se da una parte ci consola che il marchio “Made in Italy” sia sempre più focalizzato sull’alta gamma, appare preoccupante che per i marchi premium questo non rappresenti più un elemento cosi distintivo. Per intenderci, se Ferrari è lusso, Bmw è premium.

Ciò che sta accadendo ha effetti importanti sulla filiera. La scarsa competitività del Paese sta modificando la percezione di un marchio “made in Italy” tradizionalmente molto trasversale e rivolto ad un pubblico ampio e variegato. Se pensiamo all’ Italia degli anni 60 il nostro Paese rappresentava la dolce vita ma anche la gioia di possedere la 500, non necessariamente la Ferrari.

In Italia non si fanno più feste

Segnalo un bellissimo articolo de ilSole24ore La modernità italiana di Giuliano Da Empoli del 30 settembre 2014. Articolo che vi invito a leggere integralmente e di cui riporto un paio di affermazioni che mi hanno colpito in particolar modo:

“Il problema della moda italiana non sono le tasse. Il problema della moda italiana non sono le infrastrutture. Il problema della moda italiana non è l’inefficienza della pubblica amministrazione. Il problema della moda italiana è la depressione italiana. Come si fa a vendere al mondo il sogno di un luogo abitato dalla leggerezza e dall’eleganza se quello si è progressivamente trasformato nel suo esatto contrario: un Paese sempre più impaurito e cattivo, nel quale la gente si impoverisce e l’ultima festa divertente risale al 1987?” Di Giuliano Da Empoli – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/sCH322

Update: Interpreto le premesse come ovviamente provocatorie e come tali le cito. E’ evidente che tasse e mancanza di infrastrutture unite ad una burocrazia soffocate rappresentano una delle cause della “tristezza” del Paese.

E ancora sempre sul Made in Italy:

“Non un fenomeno di élite, ma di massa: l’orgoglio di avere qualcosa da dire al mondo, e l’intelligenza di farlo senza prendersi troppo sul serio. Come il set della Dolce vita dove, scrive Tullio Kezich, «tirava sempre l’aria di non fare un accidente, di sfuggire agli impegni, di bruciare il padiglione. Eppure si lavorava, se questa è la parola, fino a veder spuntare l’alba».” Di Giuliano Da Empoli – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/sCH322

Conclusioni

Non sono un esperto di mktg e quindi chiedo scusa se posso aver fatto un po’ di confusione su termini e posizionamenti.

Per evitare fraintendimenti non sostengo che oggi il Made in Italy non rappresenti più un valore immediatamente spendibile dalle aziende, dico invece che inizia ad appannarsi, inizia una discesa che va contrastata non con tutele legali ma lavorando sull’immagine e l’attrattività del Paese a tutti i livelli.

Update: quello che mi preme sottolineare è che l’Italia probabilmente per riscoprire il vero valore del Made in Italy deve tornare ad essere percepito come un Paese in cui è bello vivere, un Paese non legato solo ad una immagine di prodotti di gran lusso (storicamente attribuibile alla Francia che ultimamente tendiamo a rincorrere – complici anche i numerosi acquisti di nostre aziende effettuati da produttori di lusso d’oltralpe) ma tornare a riscoprire e promuovere i nostri piccoli lussi quotidiani riscoprendo il nostro “saper viver bene”.

Chiedo a chi è più bravo di aiutarmi, magari nei commenti o nelle conversazioni on line, a sviluppare o a correggere una intuizione forse un po’ superficiale ma credo non del tutto sbagliata.

 

Per approfondire:

  • Moncler e le accuse di Report sui piumini
  • Moncler, Sapelli contro Report: terribile linciaggio
  • “(Molto) male in Italy”: ecco perché il nostro Paese sta “scomparendo” in Asia
  • Comunicare male fa male alla Franciacorta
  • Made in Italy, una definizione “in negativo”?

Per restare aggiornato:

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Startup, un corso gratuito dall’Università di Stanford

4 Novembre 2014/in Impresa, Startup/da Riflessioni

Startup, un corso gratuito dall’Università di Stanford

L’Università di Stanford, in collaborazione con Y-Combinator, ha lanciato quest’anno un corso dal titolo “How to Start a Startup”. Un mix di lezioni dal vivo, letture da fare a casa e discussioni online per chiunque voglia avviare una startup o l’ha già fatto. 

Il tema Startup è di gran moda ma spesso ci si dimentica che le logiche e i processi tipici delle startup si stanno dimostrando efficaci ad accelerare lo sviluppo di realtà aziendali già esistenti, attraverso l’introduzione di tecnologie disruptive, con l’introduzione di modelli di business che guardano a nuovi mercati o di nuovi prodotti che cambiano profondamente il posizionamento dell’ impresa stessa.

Il corso che vi segnaliamo può essere quindi di interesse sia per il neo imprenditore, sia per chi sta ridisegnando la propria impresa a seguito di un passaggio generazionale o per riposizionarsi sul mercato.

L’ Università di Stanford offre gratuitamente un corso on line la cui particolarità è che le lezioni sono tenute da imprenditori di successo. 

Il corso ha un sito ufficiale nel quale è possibile vedere l’elenco delle lezioni e i topic coperti. Io però vi consiglio di affiancargli il sito non ufficiale che forse è organizzato un po’ meglio.

Per le discussioni e l’invio dei propri progetti è stato creato sia un gruppo facebook che un canale reddit ad-hoc.

Per approfondire: Dall’università di Stanford un corso per lanciare una startup

 

 

Berto Salotti – Case History

1 Novembre 2014/in Case History, Impresa, Passaggio generazionale, Riflessioni, vita da consulente/da Riflessioni

Berto Salotti – Case History

Il vero lavoro dell’imprenditore

Ho appena letto un bellissimo post in cui si racconta la storia di una famiglia, la storia di una azienda che in questi giorni festeggia i 40 anni di attività.

In rete potete trovare molto su Berto Salotti, sono un caso di eccellenza di web marketing applicato ad una PMI.

Ci sono libri, convegni, professori universitari che ne hanno studiato la case history.

Oggi però voglio raccontarvi un’altra storia, la storia di un imprenditore o meglio del perché Filippo Berto è un imprenditore.

Filippo ed io ci conosciamo da qualche anno, siamo amici, abbiamo vissuto i primi anni del web quando tutti ci dicevano che perdevamo solo del gran tempo, entrambi siamo diventati papà più o meno nello stesso periodo, entrambi abbiamo ereditato una attività ed abbiamo cercato di trasformarla per cucircela addosso.

Filippo ha intuito prima di altri che il web poteva diventare lo strumento con cui ridisegnare la sua impresa ed ha perseguito il progetto con indiscussa bravura.

Quello che però fa di lui un imprenditore è altro ed è forse la parte della storia meno raccontata. Forse quella che a me ha insegnato di più.

Pago oggi il mio debito di riconoscenza raccontandovela per come credo di averla compresa, per quello che credo di aver imparato.

Passaggio generazionale

E’ il momento più delicato nella storia di una impresa. Spesso se ne sottovaluta la portata. Si è tutti concentrati sulla formazione dell’erede, sul comprendere che ruolo avrà in famiglia ed in azienda (imprenditore, manager, socio, ecc).

Ci si dimentica spesso che, per superare questa sfida in una PMI, anche l’azienda deve cambiare.

Soprattutto in un momento caratterizzato da forti innovazioni come quello di oggi il passaggio generazionale deve diventare il momento in cui l’impresa si ripensa, in cui l’imprenditore si fida e lascia al figlio/a la possibilità di studiare e scoprire come l’impresa può evolvere, come può diventare più simile a lui.

Il passaggio generazionale ha successo se l’impresa viene ridisegnata e ripensata intorno all’erede.

Il padre di Filippo (figura complessa che meriterebbe molto più spazio in questa analisi) ci ha creduto, gli ha indicato la rotta (il web).

Filippo ha saputo dare concretezza ad una intuizione del padre fino a farla sua, fino a farla crescere a livelli che nessuno dei due avrebbe immaginato.

L’intuizione imprenditoriale

L’intuizione apparentemente è stata investire sul web o meglio investire in competenze interne sul web marketing. Su questo ne hanno scritto in molti.

In realtà, per come la vedo io, l’intuizione è stata smettere di pensare da terzista e diventare imprenditore.

Tutto quello che ha fatto Filippo è nato da lì. Un cambio coraggioso ed intelligente perché ha fatto tesoro e valorizzato la tradizione della sua azienda, il saper fare, il made in Italy o meglio il made in Brianza, ricostruendo e rinnovando un legame fortissimo con il territorio, con l’associazionismo, con il distretto.

Quanta tradizione nell’innovazione Berto.

Il bilancio delle competenze

Fare il bilancio delle competenze della propria azienda non è esercizio da poco. Ci vuole molta obiettività e la capacità di guardarsi allo specchio con sincerità. E’ necessario essere umili senza però soffrire di complessi di inferiorità. E’ importante osservare gli altri per conoscere, nelle differenze, noi stessi.

Berto ha individuato le caratteristiche e competenze distintive e ci ha investito con forza, cercando nel mercato e nella sua rete le capacità mancanti necessarie alla crescita ed allo sviluppo del suo business.

La sintesi  delle competenze è mia e spero non me ne vorrà:

  1. Lavoro artigiano (alta qualità e su misura)
  2. Comunicazione web (e solo web)
  3. Legame con il territorio e con la tradizione come motore per l’innovazione
  4. Umiltà di imparare dai grandi senza complessi di inferiorità

Costruire la squadra

La prima volta che sono passato in azienda è stato 4 o 5 anni fa. Non ho avvisato per non disturbare, Filippo era via ma abbiamo avuto una accoglienza che mi ha colpito molto. Sono passato con mia moglie ovviamente per cercare un divano.

L’incontro con il nostro architetto era durato più del previsto e siamo arrivati da Berto troppo tardi in piena chiusura per pranzo.

Maurizio (giusto render merito al collaboratore di Filippo), già in auto, ha intuito che fossimo potenziali clienti ed ha invertito la marcia aprendoci il negozio.

La cosa mi ha colpito molto. Un forte segno di attenzione al cliente ed alla costruzione della squadra.

I soldi si investono in azienda non in immobili

Negli anni l’azienda è cresciuta, ha aperto nuovi punti vendita e nei nostri incontri Filippo mi ha sempre raccontato la soddisfazione per i successi raggiunti senza mai nascondere la fatica ed i sacrifici che ne stavano alla base.

Quando hanno aperto a Roma gli chiesi se avessero pensato a comprar l’immobile (era ancora il periodo in cui l’immobiliare tirava e dragava il risparmio e gli investimenti). Illuminante la risposta di Filippo:

“I soldi mi servono per investire in azienda, in pubblicità, nel marchio, per farmi conoscere.” (sintesi mia) 

Costruire il radar e concretizzare le opportunità

L’unico modo di fare impresa oggi è attivare il radar, alzare le antenne, aprirsi ai mille stimoli del mercato.

Il radar si costruisce costruendo rapporti con le associazioni imprenditoriali, con le università, confrontandosi con realtà diverse dalle nostre.

Berto ha usato il proprio caso di successo per incrementare e costruire il proprio radar, moltiplicandone la potenza grazie al web.

Perché il web non è solo comunicazione e pubblicità. Il web significa, per chi è bravo, costruire rapporti ed aprire orizzonti.

E concretizzare le opportunità che è poi la capacità che fa la differenza, lavorando sui prototipi, sul design, sull’estero sia questo Russia o USA ( a puro titolo di esempio: #sofa4manhattan, #DIVANOXMANAGUA, ecc… iniziative che hanno contemporaneamente creato i presupposti per incrementare il fatturato ma anche per costruire nuove reti).

Investire nel web

Questa storia non sarebbe completa senza un breve cenno all’importanza che il web marketing ha avuto nel trasformare l’azienda. Non mi dilungherò, in rete molti ne hanno scritto e molti ne discuteranno. Mi preme però sottolineare che il web è stato usato come un accelleratore di competenze, ha valorizzato, focalizzato l’azienda.

Se agli inizi tutto era gestito in prima persona, ben presto Filippo ha sentito l’esigenza di rivolgersi a specialisti per farsi supportare. Oggi credo che abbia deciso di tornare ad nternalizzare gran parte delle competenze ad eccezione di quelle più tecniche ed operative. Perché la comunicazione on line è e deve restare una capacità distintiva dell’azienda.

Ma tutto questo è del tutto inutile se non sai chi sei se non conosci te stesso e la tua impresa.

Il vero lavoro dell’imprenditore, la vera intuizione è tutta lì. Il resto è sudore.

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Le otto sfide delle aziende familiari ed il passaggio generazionale: il caso Luxottica

14 Ottobre 2014/in Case History, Fisco e Società, Impresa, Passaggio generazionale, Riflessioni, Societario/da Riflessioni

Le otto sfide delle aziende familiari ed il passaggio generazionale: il caso Luxottica

Una recente ricerca dell’Osservatorio AUB su tutte le aziende familiari italiane con ricavi superiori a 50 milioni di euro, promosso da AIdAF (Associazione italiana delle imprese familiari), appare particolarmente interessante per delineare i futuri trend in cui si trovano o si troveranno coinvolte le imprese italiane e i professionisti che da sempre le accompagnano.

Le otto sfide delle imprese familiari

Delle otto sfide identificate dalla ricerca dell’ Università Bocconi, tre riprendono e rafforzano alcuni trend consolidati negli anni precedenti; le altre cinque, invece, rispondono ad altrettanti approfondimenti tematici affrontati da Osservatorio AUB e AIdAF nel corso del 2013 sui temi della leadership familiare, della cultura familistica territoriale, del private equity, delle acquisizioni, degli investimenti diretti all’estero.

  1. evitare la convivenza (a tutti i costi) tra generazioni;
  2. pianificare la successione al vertice (prima che sia troppo tardi);
  3. superare il “glass ceiling”(ovvero valorizzare la componente femminile);
  4. bilanciare leadership familiare e CdA familiare;
  5. radicarsi in una cultura non familistica;
  6. aumentare le competenze per fare acquisizioni;
  7. cambiare il “focus” geografico degli investimenti diretti all’estero;
  8. conoscere il Private Equity (e il Private Debt);

 “Abbiamo individuato otto sfide”, afferma Guido Corbetta, titolare della Cattedra AIdAF-Alberto Falck, “che le aziende familiari si trovano ad affrontare per rilanciare la propria competitività: evitare la convivenza obbligata tra generazioni, nella forma di amministratori delegati multipli; pianificare la successione al vertice prima che sia troppo tardi; superare il soffitto di vetro che limita la crescita professionale delle donne; bilanciare leadership familiare e Cda familiare; radicarsi in una cultura non familistica; aumentare le competenze per fare acquisizioni; cambiare il focus geografico degli investimenti diretti all’estero; conoscere il private equity”.

Per approfondire: un’analisi dettagliata delle otto sfide

Le criticità del passaggio generazionale

Tra le otto sfide quella relativa al passaggio generazionale appare, per diffusione e criticità, di grande rilevanza. Per garantire la competitività dell’impresa è necessario pianificare per tempo e in modo strategico il passaggio di consegne tra l’imprenditore e l’erede, valutandone con attenzione i principali rischi e le potenziali opportunità.

Il Passaggio generazionale è un processo pluriennale in cui entrano in gioco numerosi fattori: fiscali, amministrativi, giuridici. Non andranno poi sottovalutati i rapporti psicologici tra le persone coinvolte che vedranno sovrapporsi la realtà familiare con quella aziendale.

Obiettivi del passaggio generazionale

  • Tutelare integrità e continuità dell’impresa;
  • evitare conflitti tra gli eredi.

Principali fattori da considerare

  • Caratteristiche peculiari dell’ impresa (dimensione, mercato, tecnologie impiegate, ecc);
  • tipologia di società adottata;
  • entità del patrimonio personale del fondatore e sua capacità di soddisfare gli eredi coinvolti e non coinvolti in azienda;
  • familiari coinvolti nell’attività dell’impresa (ruolo, capacità, esperienze maturate, aspettative personali);
  • esistenza di conflittualità tra eredi (anche solo potenziali e/o non legate all’impresa);
  • disponibilità di competenze manageriali;
  • implicazioni di natura fiscale e giuridica.

Strumenti utilizzabili

Diversi strumenti possono essere utilizzati per agevolare il passaggio generazionale:

  • affidare la gestione dell’azienda a manager esterni che affianchino l’erede fino alla sua piena maturità;
  • costituire patrimoni destinati, team di progetto o società ad hoc per consentire all’erede di prepararsi a sfide future più impegnative;
  • adottare un adeguato modello di “corporate governance”;
  • concludere apposite pattuizioni contrattuali (regolamenti di famiglia, accordi parasociali, etc.)

In merito all’ultimo punto rimando ad un nostro precedente articolo su Patti di famiglia e passaggio generazionale.

Sul tema l’Ascri, un’associazione dedicata alla prevenzione delle crisi d’impresa che riunisce commercialisti, industriali e uomini della finanza, ha elaborato un interessante pacchetto di proposte che proviamo brevemente sintetizzare:

  • presa di coscienza da parte dell’imprenditore del fatto che un familiare non portato per l’azienda non è un minus;
  • non utilizzare i denari dell’azienda a leva per eventuali liquidazioni ai soci o familiari;
  • coltivare un manager all’interno dell’azienda che possa eventualmente “stampellare” l’emergenza del passaggio generazionale;
  • individuare, in alternativa un manager esterno competente senza pregiudizi e con una visione strategica condivisa;
  • non scartare aprioristicamente l’idea di appoggiarsi ad un fondo qualora non si individui un passaggio generazionale in grado di cavalcare la crescita;
  • il leader di un’azienda familiare deve avere enormi doti di calma e strategia per mantenere coese le persone ed i soci in quanto è importante che ciascuno abbia un proprio ruolo e riconosca implicitamente il leader;
  • in ogni azienda che affronta il passaggio generazionale, la salvaguardia dei posti di lavoro per i dipendenti strategici è estremamente importante in quanto l’azienda è un insieme di persone;
  • prendere coscienza che purtroppo un passaggio generazionale “imposto per tragici eventi” può capitare a tutti;
  • per le aziende fino a certe dimensioni, il commercialista storico può avere un importantissimo ruolo;
  • le banche, attente all’indebitamento dell’azienda, possono ideare sistemi di finanziamento che non pregiudichino l’attività aziendale.

L’analisi del caso Luxottica

Le difficoltà che sta vivendo in questi mesi Luxottica sono da molti analisti attribuite ad un passaggio generazionale travolto da un’involuzione “padronale” che riafferma con forza le esigenze della proprietà familiare rispetto a quelle dell’impresa. Il caso però appare più complesso

«Ciò a cui abbiamo assistito, infatti, è una successione manageriale», osserva Guido Corbetta, titolare della cattedra Aidaf–Ernst & Young di Strategia delle aziende familiari all’Università Bocconi, «mentre il tema della successione proprietaria è ancora lì, e a questo si aggiunge un altro tema, ancora più complesso, quello della successione imprenditoriale».

Il caso Luxottica ripropone la questione della tensione impresa/famiglia nelle grandi imprese familiari. La questione della successione è tutta da costruire.

«Tenendo sempre ben separati proprietà e management e rispettive responsabilità», ammonisce Giulio Sapelli, professore di Storia economica all’Università Statale di Milano, contrario «alle stock option che creano commistione ma favorevole ai bonus monetari».

 Per approfondire: L’analisi del caso Luxottica

 Conclusioni

L’impresa italiana, indipendentemente dalle dimensioni, si trova oggi e sempre più si troverà in futuro a far fronte ad un investimento in cultura imprenditoriale senza precedenti. I professionisti saranno i primi a esserne coinvolti e dovranno come e più di altri accettare la sfida.

Per le piccole imprese, il commercialista potrà avere un ruolo rilevante nel pianificare per tempo il processo di successione e nel suggerire gli strumenti più opportuni anche grazie al rapporto di fiducia che mantiene con i principali membri della famiglia.

 

Documenti utili

L’analisi del caso Luxottica

Un’analisi dettagliata delle otto sfide

Patti di famiglia e passaggio generazionale

 

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