La parità dei punti di partenza
La parità dei punti di partenza
Appunti per una lezione alla Scuola di Liberalismo
Qualche giorno fa ho ricevuto una proposta inaspettata quanto gradita: tenere una lezione alla Scuola di Liberalismo ospitata dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di Torino.
La Scuola di Liberalismo 2024 rientra nelle attività del Comitato Nazionale per le celebrazioni dei 150 anni dalla nascita di Luigi Einaudi.
Un grande onore in assoluto che in me tocca corde più profonde ricordando l’esperienza tra i giovani liberali e tra i ragazzi di Controcorrente di Montanelli ai tempi della Voce.
La parità dei punti di partenza. Appunti per una lezione alla Scuola di Liberalismo per le celebrazioni dei 150 anni dalla nascita di Luigi Einaudi. Share on XI docenti sono assolutamente più qualificati di me sia per curriculum politico sia per curriculum accademico.
Mi sono quindi chiesto quale contributo portare, quale tema trattare. La risposta è stata facile ed immediata: la parità dei punti di partenza. La scelta deriva da due grandi lezioni che ho appreso da mio padre prima e da mio figlio poi.
Il docente inadeguato cederà quindi il posto al portavoce curioso.
Il presidente Einaudi, nel nucleo centrare del suo discorso d’insediamento, procede nella definizione dei due principi fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana, cioè la libertà e l’uguaglianza: «Essa afferma due principi solenni: conservare della struttura sociale presente tutto ciò e soltanto ciò che è garanzia della libertà della persona umana contro l’onnipotenza dello Stato e la prepotenza privata; e garantire a tutti, qualunque siano i casi fortuiti della nascita, la maggiore uguaglianza possibile nei punti di partenza.»
Apparenti incongruenze
Vengo da una famiglia profondamente legata alla tradizione liberale e risorgimentale che mi ha trasmesso quel forte senso di inadeguatezza che vive ogni liberale in quello sforzo costante e faticosissimo verso una coerenza tra pensiero ed azione. Sempre in bilico tra tradizione e modernità.
Essere liberale per me fin da ragazzino è stato affrontare apparenti incongruenze:
- Frequentare una scuola cattolica ma osservare mio padre trattenersi infastidito (sotto gli sguardi severi di mia madre che non voleva generare confusione in noi bimbi) quando al telegiornale riportavano la posizione dei Vescovi su temi prettamente politici;
- La professoressa che alle medie ti fa saltare il capitolo del libro di storia su Adam Smith perché è “egoista” (ed io che torno a casa con un sorriso ribelle verso mia madre “Mamma non sono egoista, sono liberale!”)
- Il difendere strenuamente la meritocrazia contro le sinistre ma contemporaneamente riconoscere il dovere dei più fortunati di garantire il diritto della parità dei punti di partenza.
- Leggere lo straordinario discorso “Perché voterò per la monarchia” pubblicato dal futuro primo Presidente della Repubblica Italiana Luigi Einaudi sull’Opinione. Discorso che anche molti liberali, imbarazzati, si sono affrettati a consegnare all’oblio non comprendendone la straordinaria portata a favore delle libertà e dell’individuo contro l’eccesso di potere statale.
- Seguire le straordinarie lezioni di diritto tributario di Giovanni Marongiu, padre dello Statuto del Contribuente, tutte incentrate sul diritto costituzionale e sulla forza della Magna Carta per il quale la proprietà privata è “usbergo delle libertà dell’individuo”.
- L’esempio di Giorgio Ambrosoli nel difendere lo Stato fino al sacrificio. Uno Stato che il liberale ritiene tanto necessario nelle sue funzioni fondamentali, tanto dannoso nei suoi abusi.
- Seguire Montanelli proprio mentre Berlusconi si faceva alfiere di quella rivoluzione liberale così tanto attesa (rinunciando a qualche vantaggio personale).
La lezione di mio padre
Tra tutti questi apparenti contrasti, quello più sfidante, quello su cui mio padre fu più severo indicandolo quale misura della qualità dell’uomo che sarei dovuto diventare è proprio quello della parità dei punti di partenza, quel dovere di aiutare gli altri anche a costo di rinunciare ai propri privilegi (non per facili sentimentalismi ma per la profonda convinzione di migliorare il sistema Paese).
“Quante invenzioni utili, quante scoperte scientifiche, quanti capolavori di scultura, di pittura, di poesia, di musica non poterono mai giungere a perfezione, perché l’uomo, il quale vi avrebbe potuto dar nascimento, dovette sino dai primi anni addirsi a duro brutale lavoro, che gli vietò di far germogliare e fruttificare le qualità sortite da natura? La produzione medesima economica non sarebbe forse grandemente diversa da quella che è e maggiore se tutti gli uomini potessero ugualmente dar prova delle proprie attitudini di lavoro, di invenzione, di iniziativa e di organizzazione? La produzione è quella che è, partendo dalla premessa che solo una minoranza degli eletti può giungere sino ai posti di comando; ma sarebbe ben diversa se la selezione degli eletti potesse farsi tra l’universale degli uomini.”
Concetto e limiti della uguaglianza nei punti di partenza. Lezioni di politica sociale, Einaudi, Torino, 1949, pp. 169-246
Quel profondo sentimento di ingiustizia
Mio figlio, appartenente a una generazione più aperta e inclusiva, è rimasto colpito, quasi ferito, dal fatto che qualcuno potesse sentirsi escluso a causa delle proprie origini. È stata un’occasione importante per parlarne insieme, per capire meglio le sfide che tante persone ancora oggi affrontano per essere accettate. Abbiamo discusso anche del perché, per chi è meno fortunato di lui, l’immigrazione possa essere una realtà problematica, specialmente nei quartieri delle nostre periferie. E questo ci ha portato a ragionare su quanto sia complesso ma necessario costruire una vera integrazione, basata sul merito e sul rispetto.
La fatica di essere liberali
Comprendete la fatica immensa di essere liberale? Quanto sarebbe più facile non essere sempre così soggetti al dubbio ma possedere le certezze delle fallaci ideologie novecentesche.
“la verità può diventare norma di azione solo quando ad ognuno sia lasciata amplissima libertà di contraddirla e di confutarla. È doveroso non costringere un’opinione al silenzio, perché questa opinione potrebbe essere vera. Le opinioni erronee contengono sovente un germe di verità. Le verità non contraddette finiscono per essere ricevute dalla comune degli uomini come articoli di fede (…) la verità, divenuta dogma, non esercita più efficacia miglioratrice sul carattere e sulla condotta degli uomini”.
J.S. Mill, La libertà (1860), ed. Piero Gobetti, 1925, 3-6.
Essere liberali presuppone l’assunzione di responsabilità. Più che criticare gli altri, domandarsi che cosa avremmo potuto fare e non abbiamo fatto.
Provando a fare i conti con quella domanda che Don Benedetto ci butta in faccia come fosse un guanto di sfida a proposito del fascismo e a cui ogni buon liberale dovrebbe provare a dar risposta: “E voi, perchè mi avete creduto?“.
La necessità di tornare a fare cose difficili
La struttura della lezione c’è, spaziando tra libera concorrenza e meritocrazia, tra ruolo dello stato e libertà dell’individuo, tra immigrazione e parità di genere.
Ora non resta che supportarla con un po’ di dottrina cercando di stimolare il dibattito tra gli studenti.
Ricordando la fatica di essere liberali, la necessità di tornare a fare cose difficili.