Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti
Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti
Ripropongo, in occasione della giornata della memoria, questo post scritto qualche anno fa sul vecchio blog. Per non perderlo, per ricordare. E la domanda resta sempre la stessa: perché questo titolo è stato e resta un pugno nello stomaco e riesce a vincere il rischio di assuefazione ad un tema cosi drammatico? Il mio pensiero conta poco o nulla, questo post vale solo per il titolo, per le emozioni che ha saputo darmi (e spero sappia dare a voi) il titolo del libro.
Qualche giorno ha fatto capolino sul mio diario di facebook l’immagine di questo libro e la storia di questi bambini. Sono rimasto molto colpito e per qualche giorno mi sono chiesto perchè, ormai assuefatto ai racconti di 6 milioni di ebrei morti, questo titolo sia stato un pugno nello stomaco.
Il Libro: La tragica storia di venti piccoli innocenti, provenienti da tutta Europa, vittime degli esperimenti medici e della brutalità insensata della politica dello sterminio del Terzo Reich. In una fredda mattina di novembre del 1944 l’uomo nero si vestì di infame cattiveria: il dottor Mengele, l’angelo della morte, si presentò nella baracca 11 di Auschwitz-Birkenau e disse: “Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti…”.
Pochi mesi dopo, il 20 aprile 1945 nella scuola amburghese di Bullenhuser Damm 20 bambini provenienti da tutta Europa vennero uccisi. Questo libro narra la storia delle loro giovani vite spezzate e della tragica catena di vicende passate per l’arresto, la detenzione nel campo di Auschwitz-Birkenau, la separazione dai genitori, gli esperimenti medici e, il terribile epilogo…
Ho provato a rispondermi che ho rivisto mio figlio mentre corre ad abbracciare la mamma per manifestare la forma di amore più pura che conosciamo. “Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti”. Ed il tradimento vigliacco di questo sentimento.
Ciò non è bastato del tutto a darmi una seria spiegazione. Poi sono tornato ai miei anni di liceo ed alla lettura di Se questo è un uomo di Primo Levi. E qualcosa mi è sembrato più chiaro. In entrambi i casi non erano storie di ebrei ma di uomini. Non c’era quella retorica che spesso accompagna le ricorrenze, non c’erano riferimenti all’ attuale Stato di Israele, non c’erano destra e sinistra nostrane alla ricerca di voti, non c’erano comunità chiuse pronte a ricordare i loro morti e non quelli degli altri (zingari, omosessuali, handicappati, ecc).
Non era la storia di un ebreo ma di un uomo, di un italiano (se volete di un borghese come me) che non riusciva a spiegarsi il perchè di quanto accadeva. In questa storia (non ho letto il libro, solo la storia sulla pagina facebook ) come nello stesso titolo scelto da Levi si parla di uomini, di bambini, di tutti noi.
Non ho mai capito perché il giorno della memoria non includa ma in qualche modo escluda.
Forse è un post scomodo e poco politicamente corretto ma le emozioni vanno raccontate per come sono e spero di non offendere nessuno dicendo che è giusto ricordare ma che sarebbe ancora più giusto creare dei ponti tra quelle stragi e quelle di oggi, altrimenti rischiamo di confinare in un tempo remoto comportamenti che ancora oggi esistono e si ripetono nella totale indifferenza.
Come sempre tendiamo a rifugiarci in pensieri consolatori, forse ci farebbe bene interrogarci più spesso sui nostri comportamenti, su quante volte giriamo la testa per non guardare.