Il concordato preventivo, una (mancata) valutazione del suo utilizzo.
Il concordato preventivo, una (mancata) valutazione del suo utilizzo.
Un recente occasional papers della Banca d’Italia vorrebbe fare chiarezza sull’effettiva efficacia del concordato preventivo come strumento per risolvere la crisi e garantire la continuità d’impresa. Purtroppo la parte più rilevante è nel “non detto”. Ci si chiede infatti in assenza di dati pubblici attendibili come sia possibile monitorare la bontà delle norme e migliorarne la qualità.
Obiettivi delle riforme del Concordato Preventivo
La disciplina delle crisi d’impresa è stata riformata più volte prima e durante la fase di crisi economica avviatasi nel 2008, anche per favorire il ricorso a soluzioni concordate e agevolare la ristrutturazione di imprese in temporanea difficoltà. Come indicato dal paper di Banca d’Italia gli obiettivi dichiarati dal legislatore sono molteplici:
- estendere il ricorso al concordato,
- favorire una più rapida emersione delle crisi e
- la loro positiva risoluzione (la cosiddetta continuità aziendale),
- al contempo contenendo i possibili comportamenti opportunistici a danno dei creditori da parte delle imprese debitrici.
La preoccupante assenza di dati pubblici
Il dato più preoccupante che emerge dalla ricerca è la mancanza di statistiche affidabili. “L’indisponibilità di dati di fonte giudiziaria sul contenuto dei piani di concordato e sugli esiti impedisce di esaminare alcuni importanti aspetti del funzionamento dell’istituto, quali la percentuale di recupero per le varie tipologie di creditori ottenuta con i concordati liquidatori o le caratteristiche dei piani di ristrutturazione che si concludono con successo.”
Uno su mille ce la fa (circa il 4,5 per cento)
Appare impressionante che solo una quota limitata di aziende (circa il 4,5 per cento) sopravvive dopo il concordato, la cui funzione principale pare quella di fornire uno strumento liquidatorio di tipo negoziale, alternativo al fallimento che vede un maggior ruolo degli organi giudiziari. Ci si domanda peraltro ancora una volta l’attendibilità del dato vista la difficoltà di monitorare la sopravvivenza dell’azienda che è cosa ben diversa da quella della società che ha fatto domanda di concordato. Nello schema tipico infatti l’azienda viene prima affittata e poi ceduta ad una newco. In questo caso nonostante si proceda alla liquidazione della vecchia società l’obiettivo si salvaguardia dell’azienda può ritenersi raggiunto.
La circostanza che solo una quota limitata di aziende sopravvive dopo il concordato preventivo induce a ritenere che il concordato stesso possa essere considerato dalle imprese e dai loro creditori una modalità per uscire dal mercato più efficiente e rapida rispetto alla procedura fallimentare, che vede un maggior ruolo dei tribunali ed è spesso caratterizzata da tempi lunghi di risoluzione
Il nodo irrisolto, i tempi di reazione alla crisi
Purtroppo il vero nodo irrisolto restano i tempi di reazione alla crisi. Troppo spesso infatti la carta del concordato viene giocata a crisi conclamata lasciando poco spazio di intervento a piani di risanamento ed accordi con i creditori.
Concordato in bianco
Il paper affronta anche gli effetti sul sistema imprese del recente strumento del concordato in bianco. I ricercatori ricordano che proprio l’ampia diffusione del concordato in bianco, e la relativa facilità di presentazione delle istanze già immediatamente dopo la sua introduzione, ha dato adito ai timori di un suo uso opportunistico, cioè che l’imprenditore potesse ricorrere al concordato in bianco senza l’intenzione o la concreta possibilità di presentare un piano di risanamento nei termini previsti, al solo fine di dilazionare il pagamento dei creditori.
In base alle prime indicazioni disponibili comunque la quota di piani non presentati entro il termine massimo di 180 giorni è rimasta molto elevata intorno al 77 per cento, come pure la quota di imprese fallite entro un anno dalla presentazione dell’istanza di concordato (intorno al 30 per cento).
Conclusioni
L’ occasional papers della Banca d’Italia vorrebbe fare chiarezza sull’effettiva efficacia del concordato preventivo come strumento per risolvere la crisi e garantire la continuità d’impresa. Purtroppo la parte più rilevante è nel “non detto”. Ci si chiede infatti in assenza di dati pubblici attendibili come sia possibile monitorare la bontà delle norme e migliorarne la qualità attraverso successive riforme.
Per approfondire
Il concordato preventivo in Italia: una valutazione delle riforme e del suo utilizzo
Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers) Numero 316 – Marzo 2016