15 domande per scoprire che il cliente non è solo fatturato
Ripropongo un articolo pubblicato qualche tempo fa su Mysolution e qui riprodotto per gentile concessione dell’Editore
Può sembrare paradossale ma troppo spesso rischiamo di ritrovarci schiavi della vecchia legge: “Il fatturato è comunque il fatturato e un cliente non si manda mai via”.
Vi propongo un elenco di domande (in buona parte ricavate dalla guida del CNDCEC, utilizzate per i miei corsi ed oggetto sempre di un vivace ed interessante dibattito) utili per scegliere il cliente più adatto alla nostra organizzazione.
Non sempre è possibile scegliersi il cliente, lo so bene, ma il modo con cui decidiamo di rispondere disegna, consapevolmente o meno, la nostra strategia di Studio (la quale ovviamente può cambiare a seconda del periodo e delle contingenze).
Sono domande che ciascuno di noi può porsi, impresa o professionista che sia. Le domande sono tutte importanti, in neretto quelle che oggi mi paiono fornire maggiori occasioni di riflessioni. Attenzione a non banalizzarle, rispondere non è mai facile.
15 domande per scegliere il cliente
Vi piace lavorare con il cliente?
Il cliente rispetta voi, le vostre opinioni, il vostro lavoro e il vostro staff?
È possibile instaurare un dialogo con il cliente?
Il cliente utilizzerà un certo numero dei servizi offerti dallo studio?
Il cliente è remunerativo?
Il cliente salderà puntualmente le parcelle?
Il cliente sarà disposto a collaborare con lo studio, se necessario?
Sono compatibili le vostre rispettive culture?
Lo studio è in grado di portare valore aggiunto all’attività del cliente?
Il cliente porterà valore aggiunto allo studio?
Sareste orgogliosi di presentarlo come un cliente del vostro studio?
Il cliente sarebbe orgoglioso di presentarvi come il suo studio di riferimento?
Il cliente rappresenta un rischio per la vostra attività?
Il cliente osserva i principi deontologici e di correttezza professionale?
Il cliente potrebbe chiedervi di accettare dei compromessi dal punto di vista etico?
Un esercizio interessante potrebbe essere quello di provare a rispondere alle domande insieme ai propri soci o collaboratori. Non sempre le visioni coincidono e solitamente lo scambio di idee risulta molto proficuo.
Il cliente non è solo fatturato, nasconde costi e vantaggi non riassumibili nel solo prezzo (non facilmente almeno).
Questo post risale a qualche anno fa ma, avendone riparlato recentemente con un caro amico, ho deciso di riproporlo considerandolo ancora attuale soprattutto in questa fine d’anno, tempo di bilanci e di nuove strategie. Nasce in origine come memo sviluppato ed utilizzato in una riunione interna del nostro Studio ed utilizzato successivamente come materiale di discussione per un ciclo di convegni sul marketing e sulla gestione dello studio professionale che ho tenuto qualche anno fa per MySolution|Post(che ne ha, in tempi più recenti ospitato una versione rielaborata).
Nonostante che molti si lamentino che i tempi dei pagamenti ultimamente si sono molto dilatati, devo dire che fortunatamente lo Studio ne soffre solo marginalmente ed in qualche modo in maniera fisiologica (lavoriamo anche come esperti per il tribunale e quelle sono comunque pratiche che, pur essendo importanti, hanno pagamenti lunghi).
La gestione finanziaria è ben monitorata e a parte un paio di clienti in difficoltà non possiamo certo lamentarci. Siamo attenti nello scegliere i clienti, siamo brave persone e cerchiamo brave persone con cui collaborare. Ci si viene in contro molto facilmente se si è corretti nei rapporti.A volte però può capitare il cliente difficile e a mio parere l’unica soluzione è nella massima correttezza interrompere il rapporto. Spesso son criticato per questo, per alcuni il fatturato è comunque il fatturato ed un cliente non si manda mai via.
La scelta del cliente è una decisione strategica tra le più importanti che, se errata, si porta dietro costi difficilmente stimabili a priori. Non si può guardare solo al fatturato ma bisogna porre attenzione ai costi nascosti causati da un cattivo cliente (cattivo ovviamente non in generale ma in relazione al nostro modo di lavorare ovviamente).
Le caratteristiche di un cattivo cliente:
Cattivo pagatore: paga poco ed in ritardo, si perde parecchio tempo nella definizione del contratto, di eventuali transazioni per recuperare il recuperabile, fa pagamenti disordinati che fanno impazzire la contabilità (mezza fattura la pago oggi, l’altra domani… );
Poco rispettoso: non riuscendo a gestire la sua impresa tende ad addossare colpe ai terzi. Solitamente molto cordiale con il professionista non lo è altrettanto con i collaboratori. Il rispetto per chi lavora è un prerequisito. Non è la prima volta che perdo un cliente per i suoi modi poco urbani. Fortunatamente possiamo permettercelo e tutti noi sappiamo che possiamo permettercelo solo perchè facciamo bene il nostro lavoro;
Aumenta il rischio: chi fa la mia professione sa che abbiamo molte responsabilità e rischi. Un cattivo cliente quasi sempre gestisce male la propria impresa, tende a considerarsi un “furbo”. Tutto questo non fa altro che incrementare il rischio e la fatica nel lavorarci insieme;
Non impara e non insegna: amo il mio lavoro e con i clienti cerchiamo sempre di sviluppare, pur nel rispetto dei rispettivi ruoli, una sorta di osmosi. Cerchiamo di insegnare quello che sappiamo (ampliando un pò il tradizionale ruolo del commercialista) ed ascoltiamo il più possibile per imparare e conoscere la loro storia ed il settore in cui operano. Se il cliente non ci ascolta però non ha molto senso collaborare (ci sono concorrenti più economici che si vantano di costare poco e non veder mai in faccia l’imprenditore);
Nessun passaparola: difficilmente un cattivo cliente avrà voglia di perder tempo nel capire la qualità del lavoro svolto da altri. Nessuno stimolo nel collaborare e sicuramente nessuna pubblicità positiva;
Occupa spazio: chi offre servizi può gestire solo un numero limitato di clienti. non è possibile fare scorte, tutto si basa sulla disponibilità di tempo. Un cattivo cliente ci toglie spazio ed impedisce di accogliere altri imprenditori.
Infiniti preventivi e modifiche contrattuali successive;
Pagamenti disordinati ed in perenne ritardo (mezza fattura la pago oggi, l’altra domani…);
Transazioni per recuperare il recuperabile.
I costi di un rapporto di questo tipo sono tali, sia a livello economico sia a livello personale che conviene risolverlo nel breve periodo. Non è facile limare il fatturato in anni come questi, ma son convito che sia necessario. Una rinuncia che deve spingerci ovviamente a migliorare la qualità del nostro servizio perchè i buoni clienti sono molto esigenti ed anche estremamente capaci nel valutare.
Lavorare con un buon cliente è estremamente più motivante e divertente, ma di questo parlerò in un prossimo post.
Articolo pubblicato su Mysolution dall’ Avv. Federico Gaballo e qui riprodotto per gentile concessione dell’Editore
Recuperare i crediti è da sempre un’attività critica per le imprese e tale situazione è resa ancora più problematica, visto l’attuale difficile momento economico. Ecco che le imprese si trovano quindi a dover compiere una serie di valutazioni preliminari sulla scelta del contraente, in modo da minimizzare il più possibile il rischio di vedere i propri crediti diventare inesigibili.
La scelta dei contraenti: un’attenta valutazione
L’attività di recupero crediti è sempre stata un “punto dolente” per le imprese, tanto più nell’attuale difficile momento economico: questa attività, oggi, è oggetto di rinnovata valutazione all’interno dell’organizzazione aziendale.
In primo luogo, appare evidente che la scelta del contraente è di per sé elemento che può essere decisivo per attenuare il rischio di vedere i propri crediti divenire inesigibili.
Un’ottimale attività di tutela del credito inizia, infatti, prima del sorgere del rapporto commerciale, soprattutto nel caso di forniture di rilevante valore economico, mediante l’acquisizione di informazioni commerciali sulla solidità (e reputazione) economica del proprio partner e dei relativi soci/amministratori.
Sempre in via preliminare, è necessario per le imprese redigere contratti in modo da non creare pregiudizio a future iniziative giudiziarie volte al recupero dei propri crediti.
In particolare, dal punto di vista dei rapporti negoziali, nei casi in cui si assume la veste contrattuale di fornitori di beni o servizi, risulta opportuno non introdurre clausole di competenza arbitrale.
Attenzione – Queste ultime, infatti, renderebbero più difficoltoso il ricorso a misure di urgenza come la fase di ingiunzione per il recupero del credito, in caso di opposizione da parte del debitore. Altre clausole contrattuali potrebbero rendere più difficoltoso un recupero giudiziario, come ad esempio la clausola di deroga alla competenza territoriale, che potrebbe aumentare i costi di recupero, dovendosi appoggiare ad avvocati di fori diversi.
La fase stragiudiziale del recupero crediti
Dal punto di vista operativo, la fase stragiudiziale di recupero deve essere “standardizzata” e razionalizzata per diminuirne i costi di gestione per l’azienda, all’interno di un percorso graduale dei mezzi di comunicazione verso la parte debitrice.
La diversa formalità dell’invio del sollecito è utile a tal fine per dare credibilità alla propria richiesta. Ad una prima comunicazione via email può seguire una comunicazione via pec, per poi procedere con la comunicazione da parte dello studio legale.
Attenzione – Quest’ultima infatti, diventa necessaria per far sentire il peso di una possibile azione giudiziaria, la quale determinerebbe oneri e spese a carico dello stesso debitore. Nel corso della fase stragiudiziale di recupero, è inoltre utile ottenere dal debitore un piano di rientro scritto (allegato anche a comunicazioni email) o altro riconoscimento scritto del debito. Ciò potrebbe agevolare di molto una successiva fase giudiziaria riducendone di molto i tempi ed ostacolando al contempo successive pretestuose opposizioni dello stesso debitore. In caso di esito negativo della fase stragiudiziale, l’apertura della procedura giudiziaria non deve essere differita oltre modo, sempre che non vi siano notizie concrete sul difficile recupero del credito (società in liquidazione, ecc., …). In quest’ultima situazione, si potrebbe anche considerare la possibilità di mettere la pratica a perdita, così da evitare inutili costi.
Le fasi della procedura giudiziaria
La procedura giudiziaria comporta necessariamente le seguenti fasi che possono essere così schematizzate.
Il recupero crediti all’interno dell’UE
Nel caso di recupero di crediti all’interno dell’Unione Europea, l’ingiunzione di pagamento segue le norme del regolamento CE n. 1896/2006, a mezzo di una procedura semplificata che prevede l’utilizzazione di moduli “standard” resi disponibili agli interessati.
Attenzione – In tal caso, a differenza delle ingiunzioni di pagamento verso debitori italiani, il ricorso per la pronuncia di ingiunzione monitoria potrà essere presentato su supporto cartaceo e non telematico.
Crediti inesigibili: la messa a perdita
Da ultimo, si precisa che la procedura di messa a perdita dei crediti inesigibili trova il suo punto di riferimento nell’art. 101 Tuir. L’articolo in questione consente la deduzione, secondo i criteri previsti da tale disciplina, solo se sussistono elementi certi e precisi sul mancato recupero del credito. Tali elementi si presumono:
nei casi in cui il diritto alla riscossione del credito sia prescritto o
nei casi di cancellazione dei crediti dal bilancio in applicazione dei princìpi contabili,
per i crediti di modesta entità scaduti da oltre 6 mesi (importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui all’articolo 27, comma 10, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese)
se l’inesigibilità deriva dalle particolari condizioni dell’impresa debitrice (presenza di procedure concorsuali o accordi di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del R.D. n. 267/1942).